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proposito occorre rilevare che, almeno sino agli inizi dell’età moderna,

«le diversità fra medici – fisici e barbieri – chirurghi, e la distinzione

fra medicina e chirurgia, tra terapia interna ed esterna del corpo del ma-

lato, risultano quanto mai nette e marcate […]. Una serie di osserva-

zioni e di indagini, svolte non solo negli stati italiani ma nel complesso

dell’area europea, dimostra che l’origine familiare, la formazione pro-

fessionale, i livelli di retribuzione, la posizione sociale, contribuivano a

tener ben distinti i ruoli di medici e barbieri»

70

.

L’erogazione dei servizi sanitari diventava particolarmente proble-

matica durante le crisi epidemiche, quando la paura del contagio, che

spingeva gran parte della popolazione ad abbandonare i centri urbani

per rifugiarsi in campagna dove l’aria era più salubre e quindi minore il

rischio di infezione, faceva allontanare gli stessi medici. Allora, quando

neppure la promessa al medico convenzionato di un incremento salaria-

le anche cospicuo non valeva a trattenerlo, diventava determinante l’ope-

ra di volontariato, da parte soprattutto di chirurghi e barbieri locali, che

si mettevano al servizio della cittadinanza ricevendo poi dalle pubbliche

autorità un sussidio finanziario oppure sgravi fiscali e/o esenzioni dagli

oneri personali in nome della loro riconosciuta funzione di utilità so-

ciale, rivolta in particolare alla povera gente rimasta in città

71

.

Le fonti torinesi, pur lacunose, sembrano mostrare comunque una

certa stabilità del servizio medico, con un avvicendamento meno rapi-

do del personale sanitario rispetto a località minori; la continuità del-

l’assistenza era di fatto normalmente garantita dalle prestazioni di pro-

fessionisti autoctoni, che – come si è osservato – esercitavano a titolo

libero, conservando perciò una maggiore autonomia nei confronti del

potere pubblico, dal quale peraltro ottenevano una qualche forma di ri-

conoscimento ufficiale mediante i privilegi di natura fiscale.

A partire dall’inizio del Quattrocento, in coincidenza con la fase più

acuta della recessione demografica, sembra avviarsi una certa tendenza

ad agevolare l’immigrazione in Torino e questo fenomeno coinvolse an-

che i professionisti della salute. Nei primi decenni del secolo si trasferi-

rono infatti in città alcuni medici e chirurghi, accettati come

habitato-

La classe dirigente e i problemi di una città in difficoltà

293

70

a. pastore

,

Peste, epidemie e strutture sanitarie

, in

n. tranfaglia

e

m. firpo

(a cura di),

La

Storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età Contemporanea

, III.

L’Età Moderna

,

i

.

I quadri gene-

rali

, Torino 1987, p. 66. Per una sintesi delle conoscenze chirurgiche nel medioevo si veda

m. mc-

vaugh

,

Strategie terapeutiche: la chirurgia

, in

m. d. grmek

(a cura di),

Storia del pensiero medico oc-

cidentale

, I.

Antichità e Medioevo

, Roma-Bari 1993, specialmente pp. 377-98.

71

Per alcuni esempi, cfr.

i. naso

,

L’assistenza sanitaria nei comuni pedemontani durante le crisi

epidemiche del

xiv

e del

xv

secolo

, in

a. m. nada patrone

e

i. naso

,

Le epidemie del tardo medioevo

nell’area pedemontana

, Torino 1978, p. 111, nota 127.