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chiesa di San Vito e Quinto «de ultra Padum»

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; nel 1299 lo stesso ve-

scovo conferma uno statuto capitolare che destinava al capitolo i frutti

di dignità e prebende nel periodo in cui intorno a questi fosse sorta qual-

che «questio et discordia»

53

. Nel febbraio 1328, con l’approvazione del

vescovo Guido, i canonici provvedono a darsi «constituciones seu sta-

tuta», i quali devono aggiungersi alle deliberazioni prese in passato e so-

stituirle nel caso che quelle risultino «contrarie» ai nuovi deliberati

54

.

La direzione è ancora quella seguita nel secolo precedente, con ac-

centuazione del nesso tra

presenza

e

reddito

, e dando elevato valore alla

partecipazione dei singoli canonici, maggiori e minori, alle celebrazioni

liturgiche: «cum secundum apostolum qui altario [

sic

] servit, vivere de-

bet de altari, et qui ad laborem eligitur, repelli non debet a mercede».

Il tutto deve avvenire nel rispetto del grado e delle competenze propri

di ciascuna prebenda e dignità: in particolare si disciplinano i compiti

liturgici dei titolari di prebende diaconali e suddiaconali. La preoccu-

pazione generale è di garantire un corretto funzionamento del corpo ca-

nonicale: per cui si prevede la celebrazione del capitolo generale con fre-

quenza annuale a metà del mese di marzo. In quella sede sarà eletto, per

sorteggio, il «sindicus et thesorarius», al quale spettano i delicati com-

piti di tutelare gli interessi economici e patrimoniali del capitolo e di di-

stribuire, secondo quanto previsto dagli statuti, i redditi comuni tra i

«canonici residentes et Divinis officiis interessentes»

55

.

Il problema della «non residenza», connesso con la titolarità di più

benefici in sedi ecclesiastiche diverse e talvolta anche molto lontane –,

problema non solo torinese, come ben noto – ricorre, dunque, ripetu-

tamente e lo ritroviamo nel febbraio 1331

56

, quando il vescovo Guido

col capitolo provvede al potenziamento delle prebende, anche in consi-

derazione del fatto che «plures» canonici «non essent in civitate nec in

Taurinensi ecclesia residentes» e che i

residenti

potrebbero essere spin-

ti ad allontanarsi alla ricerca di ulteriori fonti di reddito, poiché le pre-

bende locali si erano fatte «tenues et exilles». La «non residenza» si pro-

filava come minaccia alla regolare ed efficace celebrazione del «Divi-

num officium». Il fenomeno dipendeva, in larga parte, dal fatto che

«canonicatus et prebende» della Chiesa torinese potevano essere asse-

gnati dalla curia pontificia indipendentemente dalle decisioni dei cano-

Vita religiosa e uomini di Chiesa in un’età di transizione

309

52

Ibid.

, pp. 166 sg., doc. 85.

53

Ibid.

, pp. 175 sg., doc. 175.

54

Ibid.

, pp. 213-18, doc. 101.

55

Ibid

.

56

Ibid.

, pp. 219-26, doc. 102.