

evidente che il peso di Torino non cessò in quegli anni di accrescersi ri-
spetto a quello di Chambéry, come conferma la diversa evoluzione de-
mografica dei due centri: se nel 1415 le loro dimensioni erano identi-
che, contando Chambéry 628 fuochi contro i 625 di Torino, già cin-
quant’anni più tardi quest’ultima aveva lasciato indietro la rivale, grazie
a una ripresa demografica assai più precoce: Chambéry infatti non con-
tava che 470 fuochi nel 1456, mentre Torino era già a 720 nel 1445 e
ad 891 nel 1464. Verso la fine del secolo anche Chambéry conobbe una
decisa ripresa, e nel 1487 era risalita a 696 fuochi, ma l’anno successi-
vo Torino ne contava già 1056, una cifra che Chambéry non avrebbe
raggiunto neppure nel 1561. A ragione, insomma, una studiosa savo-
iarda ha osservato di recente che sebbene Chambéry continui per con-
venzione a essere indicata come la capitale del ducato fino al tempo di
Emanuele Filiberto, di fatto questi non fece che istituzionalizzare una
prevalenza torinese che datava già dall’inizio del secolo
37
. Non va del
resto dimenticato che se Chambéry era infine divenuta, al tempo di
Carlo II, sede episcopale, sottraendosi al controllo del vescovo di Gre-
noble, Torino, grazie alle pressioni esercitate dal duca su Leone X, era
stata elevata nel contempo al rango di sede arcivescovile, con bolla pa-
pale del 3 dicembre 1513, ciò che accresceva ulteriormente il suo pre-
stigio nello stato.
Appare evidente da quanto si è detto finora che se Torino divenne
di fatto sotto Carlo II la capitale amministrativa del ducato, ciò fu do-
vuto più alle pressioni di un personale burocratico in rapida espansione
e legato alla città da molteplici vincoli che non a una scelta consapevo-
le compiuta dal duca, anche se molte decisioni prese di volta in volta da
Carlo contribuirono a rendere sempre più irreversibile tale evoluzione.
Non apparirà perciò in contraddizione con le vicende fin qui narrate il
fatto che anche al tempo di Carlo II, ed anzi alla vigilia della catastrofe
del 1536, sia documentato da parte del duca l’effimero tentativo di spo-
gliare Torino delle sue prerogative, in seguito a un dissidio di cui non
conosciamo l’origine, ma che deve essere stato abbastanza serio da pro-
vocare l’ira del duca. È un fatto che nell’estate 1535 Carlo II lasciò To-
rino per trasferirsi a Chieri, dove rimase per qualche tempo, con deci-
sione quanto meno curiosa se si pensa che a Torino si tennero nei mesi
successivi importanti riunioni dei Tre Stati, in cui il duca si fece rap-
Torino e le comunità del Piemonte nel nuovo assetto del ducato sabaudo
417
37
Cfr.
r. brondy
,
Chambéry, histoire d’une capitale (vers 1350-1560)
, Lyon-Paris 1988, pp.
257-61, e per l’evoluzione demografica di Chambéry pp. 84-86, 261-63. Per la parallela evoluzio-
ne della demografia torinese cfr. sopra,
Introduzione
. S’intende che il confronto proposto nel te-
sto è puramente indicativo, giacché ignoro fino a che punto gli elenchi di fuochi di Chambéry sia-
no paragonabili agli elenchi catastali torinesi.