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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

Sennonché la presenza fisica del principe e della corte, come già ab-

biamo più volte rilevato, non era affatto indispensabile per determina-

re la preminenza di un centro urbano all’interno dello stato. Decisive

per consolidare il primato torinese nei primi anni del Cinquecento ri-

sultarono invece le esigenze di ordine politico e amministrativo di cui

in misura sempre maggiore si faceva interprete, in luogo del principe e

talvolta in contrasto con la sua volontà, il nascente ceto burocratico;

quell’

équipe

cioè di giuristi e segretari che, mentre il duca e i grandi era-

no sempre più assorbiti dalle questioni di politica estera, gestiva con

margini crescenti di autonomia l’amministrazione del ducato. La voca-

zione amministrativa che già in passato aveva presieduto all’afferma-

zione delle fortune torinesi s’incontrò in quei primi decenni del Cin-

quecento con le esigenze di stabilità di una burocrazia in rapida espan-

sione, sempre più oberata di lavoro e di incartamenti, e il cui personale,

di origine ormai quasi esclusivamente piemontese, era visibilmente ri-

luttante a passare le Alpi per seguire il duca nei suoi spostamenti. Nel-

la storia dello stato sabaudo, la spinta alla costituzione di organismi am-

ministrativi stabili e non più itineranti aveva favorito in passato so-

prattutto Chambéry, in cui fu insediata fin dalla sua costituzione la

Camera dei Conti, e solo in seguito aveva visto Torino acquisire un pe-

so sotto certi aspetti paragonabile, con la costituzione del Consiglio ci-

smontano e il progressivo allargamento delle sue competenze fino ad

equipararlo in tutto al Consiglio di Chambéry; ma la prosecuzione di

quella spinta finì per favorire decisamente la città piemontese quando,

appunto all’inizio del Cinquecento, il nuovo modo di lavorare raggiun-

se il vertice amministrativo e giudiziario del ducato. Protagonista di que-

sta evoluzione che Carlo II, dopo averla in un primo momento favori-

ta, cercò poi vanamente di contrastare fu in quegli anni il «Consilium

cum domino residens», che aveva conservato fino a quel momento il tra-

dizionale

modus operandi

itinerante.

Già sotto il regno di Filiberto II, e ancor più dopo l’avvento di Car-

lo II, la necessità, per usare le parole del Soffietti, «di modificare in sen-

so territoriale il “Consilium cum domino residens”», attribuendo a una

parte del suo personale responsabilità di governo rivolte specificamen-

te alle province piemontesi, aveva cominciato a condizionare l’operato

dei duchi. La presenza a Torino di membri del Consiglio «cum domi-

no», incaricati di sovrintendere all’amministrazione delle province ci-

smontane mentre il duca si trovava di là dai monti, ampliando organico

Piemontesi nel ducato sabaudo all’inizio del Cinquecento: un problema storiografico risolto?

, in

«BSBS»,

lxxxvii

(1989), pp. 591-637.