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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

bauda, soprattutto quale poteva apparire agli ancora inesperti Amedeo

e Carlo nei primissimi anni del loro governo. Converrà anzitutto ricor-

dare che il Consiglio cismontano era considerato a tutti gli effetti come

un consiglio ducale, concepito però, e qui stava la sua particolarità, per

operare essenzialmente in assenza del duca; istituito in un tempo in cui

la residenza abituale di quest’ultimo era ancora oltre i monti, la sua ra-

gion d’essere era appunto quella di provvedere al governo dei domini ci-

smontani nei lunghi periodi in cui il principe era assente dal paese. In

questo senso il Consiglio cismontano, benché formalmente equiparato

dal 1459 al Consiglio di Chambéry, svolgeva di fatto una funzione più

vicina a quella del Consiglio «cum domino residens», unendo alle sue

prerogative giurisdizionali una più ampia responsabilità di governo.

Quando il duca si trovava di qua dai monti, appariva perciò naturale che

il funzionamento del Consiglio cismontano fosse

ipso facto

sospeso e i

suoi consiglieri cooptati nel Consiglio «cum domino», esattamente co-

me la presenza del duca faceva cessare le funzioni di qualsiasi governa-

tore, luogotenente o capitano generale operante in sua assenza.

È in linea con questa prassi, seguita già da Amedeo VIII e dopo di

lui da Ludovico, che Amedeo IX, sceso in Italia per la prima volta nel-

l’estate del 1466, decise di lì a poco di sospendere

pro tempore

l’attività

del Consiglio cismontano, «quamdiu videlicet in hac nostra dictione ci-

tramontana moram et residenciam faciemus», così da evitare, come sot-

tolineava esplicitamente nelle patenti, un’inutile e costosa duplicazione

istituzionale. Ci sembra per una volta di poter dissentire dal Marini che

in questo provvedimento, a suo giudizio eccezionale, ha creduto di ve-

dere una scelta politica, mirante alla «depressione della più antica e va-

lida istituzione sabauda nel nuovo Piemonte», e ancor più direttamen-

te a «deprimere Torino che del Consiglio si era fatta da gran tempo la

sede». Né, per lo stesso motivo, riteniamo di dover consentire col Sof-

fietti quando scrive che in quell’occasione Amedeo, e allo stesso modo

più tardi Carlo I, «tentarono di abolire il “Consilium Thaurini residens”,

facendone riassorbire le competenze da parte del “Consilium cum do-

mino residens”»: poiché nelle sue patenti Amedeo aveva sottolineato

con la massima chiarezza che il consiglio non s’intendeva abolito ma sol-

tanto sospeso fino a quando il duca fosse rimasto di qua dai monti «et

non alias». Il 22 agosto 1468 infatti, da Avigliana, il duca, sulla strada

del ritorno, riassegnava al Consiglio cismontano la cognizione delle cau-

se che gli competevano «ante suspensionem predictam»; e sebbene Ame-

deo, che intendeva approfittare dell’occasione per farsi concedere dai

Torinesi un donativo di 2000 fiorini, abbia presentato questo gesto co-

me una concessione magnanima, dettata dall’intento di venire incontro