

e competenze del Consiglio cismontano, divenne sempre più consueta
in quei primi anni del Cinquecento. La corrispondenza di questi fun-
zionari dimostra che essi si consideravano solo provvisoriamente di-
staccati dalla presenza del duca e che, dando per scontata la maggiore
rilevanza delle questioni piemontesi rispetto a quelle transalpine, at-
tendevano con impazienza il suo ritorno a Torino: così, ad esempio, lun-
go tutto l’anno 1513 il presidente patrimoniale Angelino Provana scris-
se ripetutamente a Carlo invitandolo a rientrare quanto prima in Pie-
monte, aggiungendo di non scorgere alcun motivo, «ne devers Italie ne
allieurs, qui soit pour retarder vostre venue depardeça», e in termini
non diversi gli scriveva nel 1516, ancor sempre da Torino, l’avvocato
fiscale generale Chiaffredo Pasero
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.
L’ambizione dominante di Carlo II, indirizzata alla sottomissione
di Ginevra, continuava a richiamarlo sovente oltre i monti, ma s’in-
tuisce che a giudizio di alcuni fra i suoi più autorevoli collaboratori quei
soggiorni transalpini costituivano ormai un intralcio per la buona am-
ministrazione dello stato. In quegli anni si delinea insomma un inequi-
vocabile conflitto fra Carlo e il suo Consiglio: l’uno non intendeva ri-
nunciare alle ambizioni espansioniste, del resto tramutatesi presto in
preoccupazioni puramente difensive, che lo costringevano a prolunga-
te assenze dal Piemonte, ma l’altro trovava sempre più difficile segui-
re il duca nei suoi incessanti spostamenti da un versante all’altro delle
Alpi senza grave impaccio per il proprio funzionamento. La soluzione
cui infine si giunse consisté nell’insediare a Torino il «Consilium cum
domino residens» al completo, munito di prerogative sufficientemen-
te ampie da rendere, se non inutile, almeno non più così indispensabi-
le la presenza del duca in persona. Accettando l’idea che il Consiglio,
anziché seguirlo in ogni suo spostamento, si sarebbe potuto più util-
mente trattenere a Torino, il duca ovviava al tempo stesso al disagio di
un personale burocratico sempre più insofferente dei continui sposta-
menti, e alle necessità amministrative di uno stato le cui province ci-
smontane potevano sempre più a fatica essere amministrate da un’au-
torità non residente sul posto.
Ciò non significava naturalmente che Carlo, separando il Consiglio
dalla propria persona, rinunciasse a quella cerchia di nobili e prelati che
tradizionalmente lo accompagnava assistendolo nella formulazione del-
la sua politica; il fatto è che in quegli anni si cominciava ormai a distin-
Torino e le comunità del Piemonte nel nuovo assetto del ducato sabaudo
413
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marini
,
Savoiardi e piemontesi nel ducato sabaudo
cit., p. 441 e nota;
a. segre
,
La politica sa-
bauda con Francia e Spagna dal 1515 al 1533
, in «Memorie della R. Accademia delle Scienze di To-
rino»,
l
(1901), p. 255 in nota.