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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

presentare dalla duchessa Beatrice. E proprio da Chieri, l’11 agosto,

Carlo emanò contemporaneamente quattro disposizioni, tutte egual-

mente dirette a ledere gli interessi torinesi: la più grave prevedeva il tra-

sferimento del Consiglio cismontano da Torino a Chivasso; seguivano

la revoca del monopolio di cui la comunità torinese aveva fino allora go-

duto circa la molitura dei grani, l’abolizione della gabella che la città ri-

scuoteva sui vini d’importazione, infine il divieto di ammettere fore-

stieri nel consiglio comunale di Torino. Ancora una volta, peraltro, si

vide come non fosse più in potere del duca abolire con un tratto di pen-

na la prevalenza torinese: la comunità si affrettò a protestare contro i

provvedimenti ducali, suggerendo che Sua Eccellenza – questo era in-

fatti il titolo con cui i sudditi si rivolgevano al duca – doveva aver agi-

to «forte immemor vel non bene informata» dei privilegi di cui godeva

la città; e già a settembre il duca era costretto a revocare le sue disposi-

zioni e, in particolare, a riportare a Torino il Consiglio cismontano

38

.

La sicurezza di cui la città dava prova nel trattare col duca dà la mi-

sura di quanto Torino fosse ormai consapevole della propria centralità,

e dell’impossibilità per chiunque di ridimensionarla a proprio piaci-

mento. È probabilmente questa consapevolezza a spiegare il comporta-

mento tenuto dalla città al momento dell’invasione francese, nel marzo

1536. Ben sapendo che Torino era la chiave dei suoi Stati, il duca era

deciso a difenderla; ma quando si trattò di insediarvi una guarnigione,

i cittadini rifiutarono di mantenerla, né le disastrate finanze sabaude

consentivano di fare a meno della loro collaborazione finanziaria. In

quelle condizioni tenere la città era impossibile, almeno a giudizio del

comandante spagnolo Antonio de Leyva, il quale consigliò al duca di

sgomberarla. Non tutti furono d’accordo con questa decisione, come

quell’ambasciatore gonzaghesco che a cose finite scriveva a Mantova

biasimando l’incompetenza dei comandanti imperiali: «et di qua è nato

che vergognosamente se abandonò Turino, et quando havesse consulta-

to con chi intende il mestiero, non sarebbe accaduta tale vituperosa e

dannosa perdita». Nella diversità delle interpretazioni, ognuno concor-

dava nel giudicare catastrofica la perdita di Torino, ciò che di per sé dà

la misura dell’importanza riconosciuta alla città: il duca e la duchessa,

scrive il cronista Pierre Lambert, «sentant les ennemys aprouchier de

bien pres du dit Thurin», si risolsero solo all’ultimo momento ad ab-

bandonarla, e ripararono a Vercelli «a grant regret d’eulx et merveilleux

mescontentement des bons subgectz». Ma il Lambert aggiunge: «je ne

38

AST,

Mémoires du secrétaire Vulliet

, IV, ff. 223

v

-25

r

; ASCT, Carte Sciolte, n. 411; e per le

riunioni dei Tre Stati

tallone

,

Parlamento sabaudo

cit., VII, pp. 150-58.