

La città e il suo territorio
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piegare nella nuova costruzione; altre pietre continueranno ad essere
scavate «in castro» anche in seguito
72
.
Quando il nuovo edificio sarà ormai a buon punto, ecco operai che
lavorano, sempre «in castro», una prima volta per romperne il muro e
dare così accesso alla sala appena costruita, e poi ancora «ad rumpen-
dum murum veterem in castro»; verisimilmente si tratta dello stesso
«muro vecchio interno dove si trova la porta della sala» in seguito del
tutto spianato per utilizzarne i mattoni, previa l’asportazione dei mer-
li. La presenza della merlatura rivela che «si trattava di una cortina ester-
na» divenuta inutile per essere stata «inglobata nel nuovo complesso»
73
.
Verso la città prospettano «le due torri vecchie», già appartenenti
alla porta romana, in una delle quali si ripristinano gli assiti dei cinque
ripiani e si provvede al rinnovo della copertura
74
. L’espressione che col-
loca lo spazio occupato dal castello «ibi in medio duarum turrium vete-
rum» lascia ben intendere che l’edificio, attorno al quale si iniziarono i
lavori nel 1317, doveva essere delimitato «dalla larghezza dell’intertur-
rio»; si trattava perciò di un piccolo castello che tutt’al più «sporgeva
un poco all’esterno della cinta di mura», pur conservando «lo stesso or-
dine di larghezza»
75
.
A ben vedere, in conclusione, il castello «vecchio» non parrebbe
differenziarsi molto dalla porta romana stessa, la cui struttura è stata
ricostruita sulla base sia dei ritrovamenti archeologici sia della sua so-
miglianza con la gemella porta «Palatina». Essa, non diversamente dal
castello, era «formata da un prospetto compreso fra le due torri» avan-
zando da un lato «sulla linea esterna del muro di cinta», mentre dalla
parte opposta era completata dagli edifici della
statio
che si spingevano
«a ponente verso l’abitato della città». La costruzione centrale, coro-
nata da merli come le torri, «s’innalzava su tre ordini» pur rimanendo
«più bassa delle torri che le stavano ai lati»
76
.
Se ne può indurre che l’edificio preso in consegna da Filippo d’Acaia
nel 1295 coincideva in sostanza con la porta romana primitiva modifi-
cata, s’intende, dai numerosi interventi edilizi succedutisi nei secoli, i
quali però, a quanto pare, non avevano mai operato una riplasmazione
integrale.
72
monetti
e
ressa
,
La costruzione del castello di Torino
cit., pp. 67, 85, 87-88.
73
Ibid.
, rispettivamente p. 108 («sale canove» che ivi si legge sarà da intendersi «sale nove»?),
e pp. 112, 137, con il commento a p. 23.
74
Ibid.
, pp. 45-49; cfr. anche
m. arduino
,
«Castrum in castro» porte Fibellone
, in
pettenati
e
bordone
(a cura di),
Torino nel basso medioevo
cit., pp. 30, 34.
75
monetti
e
ressa
,
La costruzione del castello di Torino
cit., p. 59 e commento a p. 35, nota 60.
76
telluccini
,
Il palazzo Madama
cit., pp. 6-9 (sulla base dei rilevamenti del D’Andrade).