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Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)

postate sulle torri delle due porte potevano così visivamente sorveglia-

re ogni attività «a porta Phibellona usque ad portam Secuxinam», lun-

go il baricentro della vita cittadina protetto e regolato da numerose nor-

me statutarie

55

. Il controllo esercitato dal signore, per quanto in tono

sommesso, giungeva così a coprire materialmente l’intera città.

Gug l i e lmo VI I d i Monf e r r a to

e l a sua «domus de for c i a».

Il conte Tommaso III di Savoia nel 1280 estorse, come si è visto, a

Guglielmo VII di Monferrato, insieme con la città di Torino, anche la

«domus de forcia» che questi vi aveva edificato «de novo» qualche tem-

po prima, edificio che una lunga tradizione storiografica ha convenuto

di identificare con il castello di Porta Fibellona; la convinzione è così

profondamente radicata da meritare conveniente esame, anche alla lu-

ce dei nuovi documenti da poco scoperti e valorizzati.

Gli autori che scrissero prima della metà dell’Ottocento considera-

vano il «castello di Torino» come voluto nel

xv

secolo da Amedeo VIII

di Savoia

56

; fu Luigi Cibrario nel 1846 ad avere per primo «qualche so-

spetto» che esso coincidesse invece con la casa forte costruita da Gu-

glielmo VII. Circa vent’anni dopo, trattando delle porte di Torino ro-

mana, Carlo Promis non nutre già più alcun dubbio che alla Porta Fi-

bellona fosse stato «addossato un castello da Guglielmo VII marchese

di Monferrato», anche considerando che «queste case forti faceansi al-

lora alle porte di città e volte verso le terre possedute dal signore»

57

.

Il suggerimento dei due precedenti autori viene accolto da Alfredo

D’Andrade, il primo a studiare con cura gli edifici antichi e medievali

della vecchia porta, riconoscendovi le murature di «un castello del

xiii

secolo, che probabilmente è quella

domus de forcia

edificata da Gu-

glielmo VII di Monferrato»

58

. Da allora, senza produrre alcun ulterio-

re elemento, il primitivo, timido «sospetto» del Cibrario e la «proba-

bilità» enunciata dal D’Andrade divennero di fatto delle certezze.

Se qualche esitazione aveva sfiorato invero Ferdinando Rondolino

55

d. bizzarri

(a cura di),

Gli statuti del comune di Torino del 1360

, Torino 1933 (BSSS, 138/1),

pp. 66, 120, 122.

56

Così, ad esempio,

m. paroletti

,

Turin et ses curiosités

, Torino 1819, p. 59;

a. milanesio

,

Cenni storici della città e cittadella di Torino dall’anno 1418 al 1826, cioè da Amedeo VIII a Carlo Fe-

lice

, Torino 1826, p. 5;

l. cibrario

,

Le feste torinesi dell’aprile

mdcccxlii

, Torino 1842, p. 83.

57

Rispettivamente:

l. cibrario

,

Storia di Torino

, II, Torino 1846, p. 409;

promis

,

Storia dell’an-

tica Torino

cit., p. 194.

58

d’andrade

,

Relazione

cit., pp. 12-13.