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non serve qui per indicare un recinto murato nel quale possono coabi-

tare molte persone, bensì un edificio turrito omogeneo, a modo di pa-

lazzo fortificato; la sede del potere installata sulle mura urbane appare

inoltre come rara anticipazione di una pratica che, nell’Italia centro-set-

tentrionale, si generalizza soltanto molto più tardi: la presenza di castelli

ai margini di una città assume sempre connotazioni ambigue, ma è so-

prattutto nell’età delle signorie che l’intento di dominare prevale deci-

samente su quello di proteggere, per quanto i nuovi padroni delle città

abbiano talora l’accortezza di presentare come necessità di difesa col-

lettiva ciò che serve alla loro volontà di sopraffazione.

Più tardi, in un’epoca in cui le libertà cittadine in Italia erano ormai

solo più un ricordo, Leon Battista Alberti non teme di rendere esplici-

ta una tale funzione: le difese di una città – egli consiglia – è bene sia-

no organizzate in ragione del potere cui essa è soggetta: se colui che go-

verna «è spinto dal desiderio di beneficiare i cittadini non meno che dal

suo tornaconto personale», le fortificazioni saranno semplicemente ri-

volte contro i nemici esterni; se si tratta invece di personaggio cui gli

abitanti della città «debbono obbedire anche contro voglia», costui do-

vrà fortificarsi considerando «i concittadini suoi nemici allo stesso mo-

do degli stranieri»

35

.

Ecco quindi i castelli eretti in città dai signori dislocarsi di norma in

posizione periferica, a cavallo delle mura, nella direzione più opportu-

na per chi se ne deve servire, in modo da controllare la cerchia, resiste-

re contro una popolazione potenzialmente ostile e riservarsi, all’occor-

renza, una comoda via di fuga. Una funzione simile poteva appunto aver

esercitato a Torino, già fra

x

e

xi

secolo, la residenza marchionale di

Porta Segusina, che sorgeva infatti a dominio dell’uscita verso Susa, l’al-

tro polo importante del potere arduinico

36

.

Il dominio sulla città coincideva dunque tradizionalmente a Torino

con il controllo esercitato sulle mura e sulle porte, e anche dopo l’età ar-

duinica Federico I aveva riconosciuto al vescovo Carlo i diritti su «do-

mos publicas murumque ipsius civitatis», cioè sulla cerchia murata ve-

ra e propria e sui complessi fortificati che su di essa si trovavano, defi-

niti «case pubbliche» in quanto edifici residenziali. Nella seconda metà

del

xiii

secolo, quando la città viene più volte concessa e riconfermata

ai Savoia, anche quando ci si limita a parlare di «civitas Taurini» si in-

tende pertanto comprendere la cerchia murata con le sue porte, pur sen-

La città e il suo territorio

23

35

l. b. alberti

,

L’architettura (De re aedificatoria)

, a cura di G. Orlandi, Milano 1966, p. 33.

36

settia

,

Proteggere e dominare

cit., p. 20;

id

.,

Fisionomia urbanistica

cit

.

, p. 794 (testo corri-

spondente alla nota 26).