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il buono stato delle fortificazioni. Per lo stesso motivo non si potevano

recidere i cespugli spinosi e fare legna nei fossati; addirittura la pena di

morte era comminata a chi avesse fortificato per scopi privati una por-

ta o una torre delle mura.

Per quanto riguarda le proprietà private alcune disposizioni tratta-

vano delle demarcazioni di confine. Le recinzioni erano obbligatorie, in

siepe viva o in muratura o in assi, per evitare liti quando le proprietà

erano contigue e intercomunicanti, si trattasse di edifici o di cortili.

L’erezione di nuovi muri o l’impianto di siepi lungo le vie pubbliche sia

in città sia nei borghi extraurbani richiedeva l’approvazione del massa-

ro, che doveva garantire la salvaguardia del suolo pubblico, coadiuvato

da alcuni vicini.

Il rapporto di vicinato trovava negli statuti un riconoscimento uffi-

ciale; ad esso erano demandate funzioni precise oltre a quella di media-

zione nel caso del controllo edilizio. I vicini infatti erano chiamati a col-

laborare con la giustizia, dando l’allarme e inseguendo i malfattori o no-

tificando la condanna a un debitore; avevano inoltre in prima persona

poteri di controllo sociale in quanto, su richiesta della vicinia o di dieci

persone di essa, il vicario e il giudice erano tenuti a espellerne le prosti-

tute e chi teneva una condotta pubblicamente impudica.

Le norme statutarie lasciano intravedere alcuni aspetti del modo in

cui era vissuta la città dai suoi abitanti. Lo spazio comune era inteso co-

me luogo di comunicazione sociale: la voce dei banditori divulgava le

informazioni in piazza e agli angoli delle vie, la campana del comune

chiamava a raccolta i credendari. I provvedimenti giudiziari in alcuni

casi prevedevano una pena pubblica nell’esposizione alla berlina o nel-

la fustigazione lungo le vie cittadine per chi non fosse in grado di pa-

gare le multe, ad esempio nel caso di persone che avessero estirpato

piante verdi, distrutto e asportato le clausure, raccolto uva non in tem-

po di vendemmia, rubato grano o farina, giocato ai dadi. Sulla piazza

del mercato il giudice doveva bruciare pubblicamente i panni contraf-

fatti in cui alla lana fossero state aggiunte altre fibre, come peli di bo-

vini, capre, asini.

Altre disposizioni miravano a guidare il comportamento collettivo:

si poteva oziare davanti alla propria casa senza illuminazione dopo l’ul-

tima campana serale, ma non ci si poteva trattenere a bere nelle taverne.

Poiché il senso comunitario si esprimeva anche nella devozione reli-

giosa, il comune si faceva carico dei debiti delle confraternite e dei ce-

ri portati in processione per la festa di San Giovanni. Una rubrica isti-

tuiva una visita solenne al monastero suburbano dei Santi Solutore, Av-

ventore e Ottavio, alla quale partecipavano vicario, giudice, consiglieri,

La città e il suo territorio

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