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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)
novrato dalle autorità cittadine, e di forza in qualche misura spontanea,
capace bensì di organizzare la mobilitazione della piazza, ma senza al-
cuna direzione dall’alto; fors’anche al servizio di interessi di parte, ma
comunque sfuggendo al controllo del palazzo. Quando le campane chia-
mavano i cittadini alle armi, l’abate e i suoi soci erano i primi a rispon-
dere all’appello, e anzi talvolta erano proprio loro a suonare l’allarme;
e non soltanto in obbedienza alle autorità costituite, ma di propria ini-
ziativa, in forme che potevano rivelarsi pericolosamente eversive agli
occhi di governatori e decurioni. Non è certamente un caso se della ris-
sa scoppiata nel 1486 fra cittadini e arcieri ducali vene accusato Michele
Iorluti, «qui asseritur pulsari fecisse campanam»; un parente, cioè, di
quel Tommaso Iorluti che rivestiva allora la carica di abate. Quattro an-
ni più tardi, quando la duchessa Bianca condanna i «facinorosi» che al
suono delle campane hanno aggredito la notte di San Giovanni il si-
gnore di Serve, il primo fra tutti è proprio «Thoma Iorluti dicto l’Ab-
ba», e almeno uno degli altri è qualificato come «socio ut asserebatur
dicti Iorluti»
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.
Alla fine del Quattrocento, insomma, l’azione dell’abate parrebbe
interpretare, se non addirittura alimentare, l’ostilità popolare verso i
cortigiani e gli uomini d’arme provenienti dalla Savoia; un sentimento
tanto diffuso fra la folla quanto censurato dalle autorità ducali e muni-
cipali. Nell’età successiva, la violenza dell’abbazia risponde ancor più
scopertamente a un’esigenza di autodifesa della comunità, in reazione
al disordine imperante e all’impotenza della giustizia; un’autodifesa vo-
luta dal basso, che emargina di fatto le autorità cittadine, e provoca una
reazione di sgomento fra gli ufficiali ducali. Così, nel 1526 il supremo
consiglio ducale è costretto a lunghe trattative, alternando blandizie e
inutili minacce, per mettere pace fra l’abbazia e gli studenti, che si com-
battono giorno e notte; e nel corso di quei colloqui l’abate non nascon-
de il proprio scarso rispetto per un’autorità incapace di mantenere l’or-
dine nelle strade e di difendere i cittadini dalla violenza degli scolari.
Nel 1532, quando un incidente fra gentiluomini appartenenti a fazioni
rivali dà luogo a un vero e proprio combattimento nella cattedrale, met-
tendo in pericolo la sicurezza della duchessa Beatrice, i cittadini arma-
ti che accorrono a sedare il tumulto, richiamati dalle campane a martel-
lo, sono nuovamente guidati dall’abate: «ce pendant ceulx de Thourin
donnaront a la cloche et l’Abbé de la ville avecques grosse bande s’en
vint alla dicte ecclisse», scrive al duca il presidente del consiglio di Cham-
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ASCT, Carte Sciolte, nn. 55, 64.