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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

gioranza dei cittadini per ridursi a strumento di un’oligarchia relativa-

mente ristretta.

La composizione della credenza in carica nel 1418 rifletteva ancora,

a grandi linee, la spartizione del potere fra nobiltà e popolo sancita da-

gli statuti del 1360

3

. Sebbene questi ultimi stabilissero esplicitamente

una ripartizione degli uffici su base paritaria soltanto per quanto riguar-

dava la carica di clavario, tutto indica che lo stesso criterio era utilizza-

to di fatto, anche se non in modo altrettanto rigoroso, nel determinare

la composizione del consiglio: nel 1418 vi sedevano ventisette nobili e

trentadue popolari. L’equilibrio così raggiunto fra le famiglie di grandi

proprietari terrieri che avevano governato il comune fin dalla sua costi-

tuzione e quei ceti professionali che dopo essersi arricchiti grazie a un

lungo periodo di prosperità possedevano ormai stabilmente, nonostan-

te le difficoltà provocate da una congiuntura fattasi avversa, una voce

nel governo della città, era tuttavia ben lontano dall’assicurare un rea-

le allargamento della partecipazione politica.

Benché la qualifica nobiliare tradizionalmente riconosciuta alle più

eminenti famiglie cittadine non comportasse privilegi giuridici né esen-

zioni fiscali, le famiglie che ne erano rivestite costituivano un formida-

bile gruppo di pressione all’interno della comunità. Alcune di esse ave-

vano occupato per secoli una posizione egemonica nella vita del comune,

ma lo spazio loro riservato nelle istituzioni cittadine non rappresentava

unicamente un omaggio accordato al sangue che scorreva nelle loro ve-

ne: esso era al tempo stesso la traduzione in termini politici di una per-

durante superiorità sociale ed economica. Le famiglie nobili erano le so-

le, in città, che pur non sdegnando di investire il proprio denaro nell’usu-

ra o negli appalti fondassero la propria ricchezza in primo luogo sulla

terra: i Beccuti e i Borgesio possedevano da soli un quinto del territo-

rio registrato nei catasti cittadini. Erano le sole le cui proprietà fossero

organizzate in complessi agricoli di molte centinaia di giornate, a ge-

stione prevalentemente diretta, accorpati intorno ad una residenza for-

tificata e in grado talvolta di attrarre una concessione di giurisdizione

da parte del principe, come accadde ai Beccuti a Lucento e ai della Ro-

vere a Vinovo. Erano le sole o quasi, in una città impoverita da lunghi

anni di difficoltà, ad avere i mezzi per avviare i propri figli alla carriera

giuridica, o per insediarli come canonici nel capitolo cattedrale. Erano

infine le sole a costituire vere e proprie consorterie, come i Borgesio che

contavano, nel momento culminante dello spopolamento, tredici capi-

3

Cfr.

a. barbero

,

Un’oligarchia urbana. Politica ed economia a Torino fra Tre e Quattrocento

,

Roma 1995.