

tardo, e non si tollerasse più l’assenteismo dei credendari; per evitare,
in ogni caso, gli inconvenienti derivanti da queste disfunzioni venne
stabilito che 24 dei 62 consiglieri, scelti per un terzo in ciascuna delle
tre categorie già menzionate e rinnovati per un quarto ogni anno, for-
massero un consiglio ristretto, capace di operare in luogo della maggior
credenza «propter difficultatem congregationis eorum de insufficien-
ti numero, propter quam invalidantur quandoque eorum actus, preci-
pue sindacatus». Veniva così riattivato un organismo di cui è testimo-
niata l’esistenza nei primi decenni del Trecento, quando il numero dei
consiglieri era così alto da sfiorare il centinaio, rendendo necessaria
l’istituzione di una giunta ristretta e di più facile convocazione per al-
leggerire i lavori del Consiglio Maggiore; ma che in seguito era caduto
gradualmente in disuso, benché vi si faccia ancora cenno negli statuti
del 1360.
La riforma imposta dall’alto ebbe risultati diseguali. Il numero dei
consiglieri non scese più troppo al di sotto della cifra ufficialmente pre-
vista, anche se non era insolito che uno o due posti fossero vacanti; l’as-
senteismo restò tuttavia assai elevato, tanto che già pochi anni dopo la
riforma i presenti alle sedute non superavano ordinariamente i trenta o
quaranta. Il tentativo di snellire le procedure attraverso la riattivazione
del consiglio ristretto ebbe un esito sostanzialmente fallimentare: tutto
indica che entro pochi anni esso cadde nuovamente in disuso e che la
credenza continuò ad operare, come prima, soprattutto attraverso l’ele-
zione quasi quotidiana di commissioni
ad hoc
per le singole questioni
all’ordine del giorno. Ma il vero banco di prova su cui va misurato il suc-
cesso o il fallimento della riforma è il tentativo di allargare la parteci-
pazione dei semplici
cives
alla vita politica cittadina; e sotto questo pro-
filo è difficile dare un giudizio univoco. Non si può negare infatti che
la riforma abbia prodotto un duraturo allargamento del consiglio a cit-
tadini che in precedenza avrebbero avuto ben poche speranze di en-
trarvi: a partire dal 1434, e fino ai primi decenni del Cinquecento, gli
elenchi dei consiglieri contengono indubbiamente un maggior numero
di nomi di comuni cittadini, estranei alla cerchia delle famiglie più in-
fluenti, rispetto a ciò che accadeva all’inizio del Quattrocento. Non che
le proporzioni fissate dalla riforma fossero rigidamente rispettate: già a
pochi anni di distanza il numero di quei consiglieri che, per parentele e
ricchezza, si potevano considerare «notabiliores» e ai quali i notai ac-
cordavano, con sempre maggiore generosità, il titolo di
nobiles
si aggi-
rava nuovamente intorno alla metà del totale, mentre solo a prezzo di
una certa forzatura si sarebbero potuti mettere insieme fra i consiglieri
in carica in un qualsiasi momento quindici nomi plausibilmente classi-
La vita e le strutture politiche nel quadro della bipolarità signore-comune
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