

qualsiasi decisione di una certa importanza richiedeva una riunione ple-
naria del consiglio; pare tuttavia che i membri del consiglio ristretto,
fra i quali si trovava quasi sempre almeno uno dei due sindaci, non ri-
spettassero troppo scrupolosamente queste restrizioni. La loro gestio-
ne spregiudicata degli affari cittadini, condotta sul filo della legalità,
tendeva a escludere non solo i consiglieri di condizione più umile, ma
tutti coloro che pur appartenendo al loro stesso ambiente sociale non
erano disposti ad accettarne passivamente le regole. Così il 12 marzo
1518 uno dei membri socialmente più qualificati della credenza, Pie-
tro da Bairo, professore di medicina allo Studio torinese, fece mettere
a verbale una durissima protesta contro i sindaci in carica e i loro pre-
decessori, accusandoli di aver gestito le finanze della comunità senza
la trasparenza imposta dalla normativa statutaria, scavalcando siste-
maticamente il controllo della maggior credenza, «maxime in eis par-
tibus quibus distribuerunt et dispensarunt bona dicte comunitatis non
vocata credencia maiore sono campane»: gli statuti infatti stabilivano
che i sindaci e la minor credenza non potessero privatizzare beni co-
muni per un valore superiore a 10 fiorini senza il consenso del Maggior
Consiglio, «prefacti autem distribuerunt et in die distribuunt bona pre-
dicte comunitatis factis solummodo clandestinis inter eos privatis vo-
cationibus»
5
.
La protesta di Pietro da Bairo illumina i percorsi che l’oligarchia to-
rinese aveva imparato a seguire per non perdere il controllo degli affari
cittadini, nonostante la volontà di porre un freno alla sua egemonia ma-
nifestata per un momento dal principe: il governo della città, affidato
all’inizio del Quattrocento a una credenza interamente dominata da po-
che decine di famiglie e scarsamente preoccupata di rispettare la lette-
ra degli statuti, si decideva un secolo dopo in colloqui «privati» e «clan-
destini» fra i consiglieri più influenti, aggirando il controllo di un con-
siglio che per volontà del principe aveva assunto connotazioni, se non
democratiche, certo meno rigidamente oligarchiche che in passato.
Gl i uf f i c i de l comune : c l ava r i , s i ndac i , amba s c i a tor i .
L’immagine di una vita politica oscillante fra occasionali aperture al-
la partecipazione popolare e prevalenti tendenze alla chiusura oligar-
chica trova conferma nelle attribuzioni e nel reclutamento dei cittadini
cui erano affidati gli uffici di maggior responsabilità nel quadro dell’or-
dinamento comunale, clavari e sindaci, nonché degli ambasciatori pe-
La vita e le strutture politiche nel quadro della bipolarità signore-comune
553
5
Ibid
., VII, p. 373.