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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

La tendenza del consiglio comunale a riprodurre se stesso, eleggen-

do volentieri il figlio in sostituzione del padre e giungendo a considera-

re i posti di credendario come dovuti più alla famiglia che all’individuo,

al punto che in qualche caso un consigliere costretto ad assentarsi dalla

città poteva farsi sostituire

pro tempore

da un congiunto, finì per pro-

vocare qualche espressione di malcontento, attizzata dallo scarso zelo

dimostrato dai credendari nel rispettare la lettera degli statuti. I segna-

li di tale malcontento giunsero a quanto pare fino ad Amedeo VIII, che

qualche anno dopo l’annessione di Torino ai suoi stati volle intervenire

per porre un freno all’involuzione oligarchica del governo comunale.

Informato che i Torinesi pativano «non modica incommoda […] ob de-

fectum et culpam consiliariorum modernorum eiusdem civitatis», Ame-

deo ordinò nel 1433 al Consiglio cismontano, ormai insediato stabil-

mente a Torino, di provvedere a una riforma radicale delle istituzioni

cittadine, volta tanto ad assicurare un rispetto più formale delle dispo-

sizioni statutarie, quanto a garantire una maggiore rappresentatività del-

la credenza nei confronti della comunità.

Il Consiglio cismontano, sentito il parere dell’assemblea dei capifa-

miglia e di una commissione ristretta eletta da questi ultimi, emanò una

serie di disposizioni destinate a modificare profondamente, almeno nel-

le intenzioni, composizione e funzionamento della credenza. Venne or-

dinato in primo luogo che d’ora in poi essa fosse composta in parti qua-

si uguali «e quolibet trium statuum eiusdem civitatis, notabiliorum, me-

diocrum scilicet, et popularium»; per l’esattezza il numero dei consiglieri

sarebbe stato portato a 62, e di questi 22 sarebbero stati scelti «e nota-

bilioribus», cui veniva così riservata una preminenza puramente sim-

bolica, 20 «e mediocribus» e 20 «ex popularibus et minoribus». Il con-

fronto fra il consiglio in carica prima della riforma e quello riformato di-

mostra che l’intento era proprio quello di allargare la rappresentatività

dell’organismo, istituzionalizzando l’accesso di una quota di consiglieri

estranei non solo alla nobiltà, ma anche all’oligarchia popolare costitui-

tasi nel frattempo. Su 56 consiglieri in carica prima della riforma, in-

fatti, ben 30 appartenevano a famiglie classificate in seguito come «no-

tabiliores», una categoria in cui confluirono non solo le famiglie nobili,

ma anche le più influenti fra le famiglie di popolo; altri 22 appartene-

vano a famiglie che di lì a poco sarebbero state considerate «mediocres»,

e appena 4 rappresentavano quei «minores» cui la riforma avrebbe in-

vece imposto di riservare quasi un terzo dei posti.

Oltre a questa democratizzazione del consiglio, la riforma preve-

deva l’imposizione di una più rigorosa adesione alla norma degli sta-

tuti, coll’intesa che i consiglieri defunti fossero rimpiazzati senza ri-