

trattava raramente di plenipotenziari, poiché di solito gli ambasciatori
erano nominati con l’incarico specifico di vedere e riferire in consiglio
al loro ritorno, le responsabilità che pesavano sulle loro spalle erano suf-
ficientemente gravi da conferire alla nomina la massima importanza po-
litica. La raccomandazione di affidare le ambascerie per quanto possi-
bile ai sindaci, anche se spesso rispettata, non costituì mai un obbligo
formale; ma non perché vi fosse la volontà di impegnare in tali missio-
ni un maggior numero di cittadini, bensì al contrario perché i requisiti
necessari consigliavano di restringere ancor più la scelta, affidando l’in-
carico esclusivamente a personaggi di provata esperienza oltre che di
adeguato rango sociale. Nel periodo compreso fra il 1418 e il 1536 il co-
mune di Torino fu rappresentato nelle convocazioni dei Tre Stati, nel-
le ambascerie inviate al duca e nelle commissioni di eletti incaricate di
procedere alla ripartizione del sussidio da meno di cento persone. Non
tutti costoro erano cittadini di Torino: in particolari circostanze, infat-
ti, la comunità poteva chiedere di rappresentarla a personaggi ben inse-
riti nell’amministrazione centrale, collaterali del Consiglio cismontano
o segretari ducali, o ai funzionari dell’apparato amministrativo locale,
giudici o vicari. Il numero dei cittadini a pieno titolo scelti per rappre-
sentare la comunità si riduce così a un’ottantina, una cifra certo non ele-
vata se si pensa che ad essi furono di fatto affidate le relazioni della co-
munità con l’esterno su un arco di quattro generazioni.
Anche questa cifra deve peraltro essere ulteriormente scomposta per
comprendere appieno come la scelta degli ambasciatori interessasse in
realtà soltanto una ristrettissima cerchia di notabili. Oltre il 40 per cen-
to delle nomine, in questo periodo di più di un secolo, va infatti ai mem-
bri di quattro sole famiglie, Beccuti, Borgesio, della Rovere e da Gor-
zano, quelle stesse che da tempo immemorabile costituivano il nucleo
più prestigioso della nobiltà cittadina, mentre altre undici famiglie fra
le più influenti dell’oligarchia di estrazione popolare assommano un al-
tro 40 per cento. A ogni generazione, pochissimi notabili monopolizza-
vano di fatto la rappresentanza della comunità: esemplare il caso di Tom-
maso da Gorzano, nominato ambasciatore almeno trentatre volte fra il
1459 e il 1490
–
e la cifra è certamente sottostimata rispetto alla realtà,
poiché in questo periodo almeno un terzo dei volumi degli
Ordinati
so-
no andati perduti. I requisiti di esperienza e di rango indispensabili per
l’assunzione di un’ambasceria concorrevano insomma del tutto natu-
ralmente a restringere nelle mani di pochi notabili la gestione della po-
litica estera cittadina, consolidando il monopolio di quel pugno di fa-
miglie nelle cui mani era realmente concentrato il controllo degli affari
pubblici.
La vita e le strutture politiche nel quadro della bipolarità signore-comune
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