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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)
o, più raramente, nel palazzo episcopale, mentre nei casi di maggior ri-
guardo erano il duca e la duchessa a sloggiare per consentire agli ospiti
di trovar posto nel castello, come accadde nel 1494 al passaggio di Car-
lo VIII e nuovamente nel 1524 a quello di Francesco I: in quell’occa-
sione un oratore veneziano scrisse in patria, con una punta di disprez-
zo, che il re era atteso a Torino «et andava a stantiar in castello, et el
ducha di Savoia se era reducto in una caxa»
11
.
Gli spazi ristretti disponibili nel castello offrivano talvolta l’occa-
sione per schermaglie diplomatiche che aprono uno squarcio sulla reale
funzione dell’edificio nel sistema di potere sabaudo, una funzione che
spesso appare soprattutto simbolica, salvo assumere all’occasione con-
notazioni più concrete e sinistre. Il 12 dicembre 1434 il figlio del mar-
chese di Monferrato, Giovanni, appena giunto a Torino per trattare con
Ludovico principe di Piemonte le condizioni della pace fra i due stati,
scriveva al padre, non senza malizia, di aver fatto il suo ingresso a To-
rino in compagnia di Ludovico e di essersi subito diretto al castello; qui,
appena scesi da cavallo, Ludovico chiese a uno dei suoi cortigiani «“ubi
erat logiamentum mei pulcri consanguinei”; qui respondit quod erat ad
hospitium, et ut concepi, credebat me esse allogiatum in castro». Il prin-
cipe non nascose il suo scontento per quella sistemazione, ma alla ti-
rannia dello spazio non si poteva evidentemente sfuggire, e Giovanni di
Monferrato fu alloggiato con tutti i suoi accompagnatori e cavalli all’al-
bergo del Cappello, lontano dal controllo del suo interlocutore.
Questa sistemazione indipendente non fu tuttavia sufficiente a sal-
vare il plenipotenziario monferrino quando, per dare una svolta a una
trattativa inconcludente, il principe di Piemonte e il suo consiglio deci-
sero con un pretesto giuridico di metterlo agli arresti: i colloqui si svol-
gevano infatti «in castro Taurini, in aula seu sala inferiori», e proprio
in quella sala Giovanni fu informato senza preavviso che suo padre do-
veva ormai accettare senza ulteriori dilazioni le condizioni proposte dai
negoziatori sabaudi, e «quod hic arrestatus in castro in dicta sala resta-
rem donec premissa facta forent, et me arrestatum tenuerunt et tenent»,
come scriveva il giorno dopo il prigioniero al padre, non senza lasciar
trapelare una certa preoccupazione. Preoccupazione tutt’altro che infon-
data, poiché, anche se il marchese di Monferrato finì per far buon viso
a cattivo gioco e suo figlio fu liberato dopo pochi giorni dalla prigionia
e rimandato a casa con ricchi regali, per un momento era sembrato che
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a. barbero
,
La violenza organizzata. L’Abbazia degli Stolti a Torino fra Quattro e Cinquecen-
to
, in «BSBS»,
lxxxviii
(1990), pp. 424-34;
gherner
,
La frequentazione del «Castrum Porte Phi-
bellone»
cit., pp. 40 sg.;
I diari di Marino Sanuto
, XXXVI, Venezia 1893, cc. 63, 66.