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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)
si impedito dai suoi molteplici impegni, «non vallens in dicto officio su-
peresse nec id personaliter exercere», affida al Guasco la luogotenenza
per tre anni, impegnandosi a far approvare la sostituzione dal duca e a
indennizzarlo in caso di mancata ratifica; da parte sua il Guasco paga al
vicario 250 fiorini per l’appalto dell’incarico, riservandosi integralmen-
te tanto le spese quanto gli emolumenti ad esso connessi. Il duca, poco
dopo, approva la transazione, in cambio però di altri 300 fiorini che il
Guasco gli presta e che gli saranno rimborsati sulle entrate del vicaria-
to. Questi accordi dimostrano che già a questa data la venalità privata
degli uffici si era largamente affermata e che l’assunzione dell’incarico
di vicevicario si configurava come un vero e proprio investimento eco-
nomico, suscettibile evidentemente di assicurare profitti non indiffe-
renti
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.
Sennonché l’assenteismo del vicario provocava un certo disagio, che
toccò il culmine proprio nei lunghi anni in cui la carica era occupata no-
minalmente da Perrin d’Antioche; tanto che l’11 agosto 1461 la comu-
nità torinese si rivolgeva a quest’ultimo pregandolo «si possibile sibi fo-
ret, quod vellet ressidenciam suam facere in civitate Thaurini», così da
mettere fine alle malversazioni dei luogotenenti. La supplica, in verità,
non trovò ascolto; col tempo tuttavia il nuovo ruolo assunto dal luogo-
tenente, che sul territorio a lui affidato operava di fatto senza alcun con-
trollo, trovò un riconoscimento ufficiale da parte del duca, e la prassi
amministrativa si modificò di conseguenza, determinando un vero e pro-
prio sdoppiamento dell’ufficio. Il duca continuò a conferire il vicariato
a cortigiani assenteisti che non avevano alcuna intenzione di esercitar-
lo di persona, ma lo trasformò in un ufficio puramente onorifico, mo-
dificando il titolo di colui che lo riceveva in quello, più altisonante, di
«gran vicario». L’ufficio così trasformato restò privo di dirette respon-
sabilità amministrative, ma tale da garantire a chi ne era rivestito un
ventaglio di privilegi, fra cui il diritto di riscuotere una somma annua
dall’effettivo titolare della carica. Utilizzato fino ai primi del Cinque-
cento come un mezzo per ricompensare senza troppa spesa i più fedeli
collaboratori del sovrano, come Philibert de Grolée signore di Lyns, fa-
vorito della duchessa Iolanda, il ciambellano Jehan de Challes, gover-
natore della Bresse sotto Carlo II, «cui firmam ipsius officii donec vixe-
rit reservamus», o il
grand maître d’hôtel
e primo ciambellano Anthoine
de Belletruche sire di Gerbaix, che nel 1504, ancora vivente il Challes
suo predecessore, si vide garantire dal duca il diritto di subentrargli a
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PD 109, ff. 5, 34; PC 91, f. 183.