

tempo debito e di conservare a sua volta l’ufficio fino alla morte, esso
finì poi per trasformarsi, sotto la spinta incalzante della necessità eco-
nomica, in un oggetto di pura speculazione; e nel 1522, alla morte del
sire di Seyssel che lo aveva tenuto egualmente in concessione vitalizia,
fu acquistato per 500 scudi da un ricchissimo uomo d’affari torinese,
Antonio Bechi
17
.
Mentre l’ufficio di vicario, svuotandosi di contenuto, si trasforma-
va nel titolo meramente onorifico e remunerativo di gran vicario, l’uf-
ficio di vicevicario riassumeva in sé la pienezza delle attribuzioni con-
nesse al vicariato, tanto che chi lo appaltava finì per assumere senz’al-
tro il titolo di vicario. Diversamente dai loro predecessori, i vicari in
carica a partire dall’ultimo terzo del Quattrocento, benché spesso coa-
diuvati a loro volta da luogotenenti, risiedevano di solito in città e af-
frontavano di prima persona le responsabilità ed anche i rischi che l’uf-
ficio comportava: nel 1489, Ludovico di Strambino fu aggredito in ca-
sa sua dagli studenti, responsabili di frequenti disordini nella Torino del
tempo; l’anno seguente, il suo successore Anselmo Dionigi, entrato in
carica da pochi giorni, fu svegliato in piena notte dai sindaci del comu-
ne con la notizia che la città era in tumulto, e dovette accorrere con lo-
ro in piazza per tentare di placare la folla, col solo risultato di essere pre-
so a sassate dai sediziosi
18
. Va d’altra parte notato che l’ufficio aveva
perso una parte della sua importanza da quando il duca o un suo luogo-
tenente generale risiedevano sempre più spesso a Torino; esso si confi-
gurava sempre meno come un incarico di responsabilità, conferito in ba-
se a considerazioni eminentemente politiche, e sempre più come una
carica venale, ricercata soprattutto per gli introiti che era possibile ri-
cavarne, e attribuita di volta in volta al miglior offerente.
Anche sotto questo aspetto i vicari dell’ultimo Quattrocento e del
primo Cinquecento appaiono gli eredi più dei luogotenenti che non dei
vicari di un periodo precedente, con la differenza che mentre in passa-
to il luogotenente prendeva in appalto l’ufficio dal vicario titolare, ora
la vendita era pubblica e andava a diretto giovamento del fisco, salvo il
versamento del diritto fisso dovuto al gran vicario; né si trattava di un
introito trascurabile, se, ad esempio, nel 1483 Carlo Arcatori si assicurò
la nomina sborsando ben 2000 fiorini. In seguito alle difficoltà econo-
La vita e le strutture politiche nel quadro della bipolarità signore-comune
565
17
CCT, rot. 118; AST, Corte, Paesi per A e B, Torino, mazzo 6, n. 50; PD 155, ff. 109, 127.
Sull’evoluzione tratteggiata in queste pagine, notizie più dettagliate in
a. barbero
,
La venalità de-
gli uffici nello stato sabaudo. L’esempio del vicariato di Torino (1360-1536)
, in
l. marini
(a cura di),
Amministrazione e giustizia nell’Italia del Nord fra Trecento e Settecento: casi di studio
, Bologna 1994,
pp. 11-40.
18
ASCT,
Ordinati
, 83, f. 53
r
; Carte Sciolte, n. 64.