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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

miche del primo Cinquecento, peraltro, la carica sembra essere stata me-

no ambita, e si giunse al punto di lasciare l’ufficio vacante se nessuno si

faceva avanti per acquistarlo: il 30 dicembre 1529, il duca e il suo Con-

siglio discussero appunto «du vicariat de Thurin, dont par faulte de vi-

caire de l’annee passee n’a riens esté receu», e ordinarono al clavario di

calcolare le entrate che la carica poteva procurare e di provvedere al più

presto all’incanto

19

.

Dopo il luogotenente, il principale collaboratore del vicario era il giu-

dice, cui spettava la prima cognizione di tutte le cause nella città e nel

suo territorio, con possibilità di appello al Consiglio cismontano resi-

dente anch’esso a Torino. Il profilo di coloro che occuparono l’ufficio

non muta molto nel corso del nostro periodo, giacché doveva trattarsi

comunque di laureati in legge, e dunque, in un certo senso, di profes-

sionisti. Fin dall’inizio la carica risulta affidata esclusivamente a Pie-

montesi: sotto Amedeo VIII sono giudici il monregalese Francesco de

Tomatis, il cuneese Francesco Gastaldi, l’eporediese Giacometto del So-

laro, il nizzardo Giovanni de Dragonibus, il vercellese Mercurino di Ran-

zo, il biellese Stefano Scaglia; sotto i suoi successori troviamo in carica

il vercellese Guglielmo Scaravelli, quindi Giovanni da Gattinara, Gia-

como di Beinasco, Agostino d’Azeglio, e infine dal 1499 al 1533 Ribal-

dino Beccuti, il primo Torinese chiamato a ricoprire questa posizione

chiave nella propria città.

Si trattava quasi sempre di personaggi di un certo livello, destinati a

far carriera nell’apparato burocratico e a concluderla come collaterali nei

consigli ducali, nel cismontano o in quello «cum domino residens»; im-

pegnati da responsabilità non solo giudiziarie ma politiche, che non sem-

pre permettevano loro di dedicarsi a tempo pieno al proprio ufficio. A

ciò si ovviava se necessario attraverso la nomina di un vicegiudice cui

spettava l’adempimento reale delle funzioni connesse alla carica: così

sotto il giudice Tomatis operano uno dopo l’altro un «dominus Merlo-

tus viceiudex», poi il giurisperito messer Giacomo de’ Canzoni da Sa-

vigliano, infine un messer Giovanni da San Germano «legum profes-

sor». Il frequente ricambio di questo personale specializzato ebbe un

ruolo non secondario nel determinare la costituzione nella Torino quat-

trocentesca di un ben riconoscibile

milieu

di giuristi, per lo più estranei

in origine alla comunità torinese, ma in grado di radicarsi in città, alla

conclusione del loro incarico, in qualità di professori dello Studio e ma-

gari di membri autorevoli del consiglio di credenza. Emblematica appa-

19

l. cibrario

,

Storia di Torino

, I, Torino 1846, p. 426;

soffietti

(a cura di)

,

Verbali del« Con-

silium cum domino residens»

cit., p. 174.