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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)
aver proclamato ad alta voce per oltre due secoli la propria fedeltà al-
la dinastia, nel 1536 la città accolse con entusiasmo i soldati del re di
Francia e visse poi per vent’anni con piena soddisfazione l’inedito ruo-
lo di capoluogo di una provincia francese. Questa considerazione, su
cui la storiografia piemontese di ispirazione sabauda, per motivi ben
comprensibili, non si è finora troppo soffermata, rende necessaria qual-
che riflessione sulla vera natura del vincolo che univa i Torinesi alla
dinastia.
I l ruo l o de l dena ro .
Il 16 dicembre 1418, nel castello di Torino, i rappresentanti della co-
munità torinese giurarono fedeltà nelle mani di Amedeo VIII
27
. A par-
tire da quel giorno, le dichiarazioni di fedeltà alla dinastia ritornano vo-
lentieri in bocca alle autorità cittadine, e qualche episodio può lasciar
pensare che non si trattasse soltanto di retorica ufficiale, ma che quell’at-
taccamento fosse davvero radicato tra la gente: ancora nei primi mesi
del 1536, un araldo bernese che volle proclamare pubblicamente la sua
sfida al duca sulla piazza di Torino venne bastonato dal popolo, indi-
gnato per la provocazione implicita in quel gesto
28
. Da parte sua, il prin-
cipe non risparmiava le attestazioni della sua predilezione per la città, e
quest’ultima non mancò di dargliene pubblicamente atto: sicché chi si
fermasse alla lettera di certe affermazioni potrebbe pensare che il rap-
porto fra Torino e la dinastia fosse contraddistinto da una duratura e
reciproca benevolenza. Così nel 1470 i Torinesi vollero motivare la con-
cessione di un sussidio straordinario «actenta benignitate qua semper
usus fuit illustris dominus dominus noster et de presenti utitur erga suos
subiectos et fideles, presertim cives Taurini»; mentre nel gennaio 1489
il duca, partendo da Torino, non esitò ad affidare la duchessa, incinta,
alla fedeltà dei cittadini, i quali a loro volta lo salutarono pregandolo di
aver sempre per raccomandata la loro città. Ma quando l’erede fu nato,
la comunità approfittò immediatamente del felice evento per chiedere
di essere esentata per quell’anno dal sussidio, e quando gli ambasciato-
ri inviati allo scopo presso il duca comunicarono che non c’era speran-
za di successo, si affrettò a deliberare «quod fiat alia peticio sive requi-
sicio […] pro aliqua alia gracia obtinenda», ben decisa a non sprecare
un’occasione così favorevole senza ricavarne qualche vantaggio mate-
27
ASCT, Carte Sciolte, n. 1152.
28
a. segre
,
Documenti di storia sabauda dal 1510 al 1536
, in «Miscellanea di Storia Italiana»,
serie III,
viii
(1903), doc. 76.