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der a tous gaignie deniers de la dicte cité et leur fere nestier la place

d’icelle pour mieulx honnestement fere les esbattemens et honneurs de

la dicte Abbaye», implicitamente collocando i soci di quest’ultima ben

al di sopra dei comuni lavoratori manuali. Gli svaghi dei «citayns et

borgeoys», da cui evidentemente i semplici «gaignie deniers» erano da

considerarsi esclusi, si risolvevano nell’organizzazione di festeggiamenti

dal tono dichiaratamente cortese, in cui i soci potevano «passé leur tem-

ps en faitz nobles et vertueux par amiable conversation et bien vueil-

lance»; festeggiamenti che a quanto pare non erano legati a scadenze

particolari, ma rallegravano senza interruzioni la vita quotidiana della

comunità, tanto che all’abate era esplicitamente riconosciuta la facoltà

di far entrare in città vino del migliore «pour banquetter tout le long

de l’annee» e di mettere a contribuzione «tout homme tenant bouti-

que dans la dicte cité […] pour entretenir les taborins tout le long de

l’annee»

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.

Proseguendo nella lettura degli statuti, peraltro, il ruolo dell’abba-

zia nella vita cittadina si rivela più complesso, e cominciamo a scorge-

re un certo collegamento, sia pure indiretto, fra l’attività dell’associa-

zione e la tutela dell’ordine pubblico. Un gruppo di clausole ci informa

che l’abate e i «monaci» avevano il diritto di precedere il corteo nu-

ziale delle spose che passavano «sur le finaige de la dicte Abbaye», ciò

che sembra sottintendere una sorta di giurisdizione territoriale da par-

te del sodalizio, e anche di accompagnare le donne che andavano spo-

se fuori della città «et leur fere poyer la barriere ainsy comme les bon-

nes costumes sont». Le stesse clausole attestano che tutti i vedovi, se

passavano a nuove nozze, erano tenuti a «bailler aux compagnions de

la dicte Abbaye la charavarye, c’est assavoir le disner de tous les moyn-

nes», oltre a pagare una contribuzione proporzionale alle spese soste-

nute per il matrimonio; e infine, che l’abate aveva il diritto di costrin-

gere alla cavalcata dell’asino ogni marito che si fosse lasciato battere

dalla moglie. In altre parole, erano ufficialmente riconosciute all’abba-

zia quelle funzioni di controllo della moralità pubblica, originariamen-

te non previste e magari perseguite dalla legge, ma aderenti ai valori e

alle regole di comportamento della comunità, che la storiografia più re-

cente ci ha abituati a considerare proprie delle associazioni di questo

genere, e che trovavano l’espressione più clamorosa in pratiche come

la cavalcata dell’asino e lo

charivari

. E proprio a un episodio di questa

natura rimanda la prima menzione dell’abbazia nelle fonti torinesi, ri-

L’economia e la società

533

271

f. neri

,

Le Abbazie degli Stolti in Piemonte nei secoli

xv

e

xvi

, in «Giornale storico della let-

teratura italiana»,

xl

(1902), pp. 33 sg.