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comunità; e anche se non ci è pervenuta la risposta, tutto lascia pensa-

re che il Consiglio cismontano abbia finito per accondiscendere, ritor-

nando sulle proprie decisioni

268

. La vicenda tuttavia non era conclusa,

poiché quanti governavano Torino per conto del duca, sempre attenti a

non consentire che la città spingesse troppo oltre la propria autonomia,

non mancarono anche in seguito di preoccuparsi per le conseguenze del-

la decisione adottata unilateralmente dal consiglio comunale. Nel 1470

il maresciallo di Savoia Claude de Seyssel, nominato luogotenente du-

cale di qua dai monti, proibiva nuovamente, con «literas prohibitivas,

et mulctas satis excessivas», di suonare la campana del comune. Per il

nobile transalpino, certo meno avvezzo dei giuristi del Consiglio ci-

smontano ai margini di autonomia rivendicati dalle città italiane, la pre-

tesa della comunità di suonare l’allarme di propria iniziativa e far scen-

dere in piazza a quel segnale squadre di cittadini armati rappresentava

evidentemente una rivendicazione inaccettabile.

La città tuttavia non era disposta a cedere senza opporre resistenza,

e inviò al duca una petizione piuttosto vivace, sottolineando che gli abi-

tanti di Torino, a memoria d’uomo, avevano sempre goduto del diritto

di suonare la campana del comune, collocata sulla torre civica: un’af-

fermazione interessante, giacché mostra che la procedura rimessa in vi-

gore da pochi anni si richiamava consapevolmente a quella seguita in

passato, al tempo della Società di San Giovanni Battista e forse anche

prima, quando il comune di Torino non si era ancora piegato alla domi-

nazione sabauda. Il consiglio comunale proseguiva spiegando che «ipsa

pulsatio campane fuit et est plusquam necessaria pro rixis et scandalis

evitandis, ac pro custodia civitatis diurna et nocturna»: poiché la pre-

senza in città di genti diverse per lingua e abitudini moltiplicava le oc-

casioni di violenza, «quibus occurritur per sonitum dicte campane, quam

cum pulsare audiunt se reprimunt». Il duca trovò convincenti queste ar-

gomentazioni e revocò i provvedimenti del suo luogotenente, confer-

mando alla città una prerogativa che di fatto equivaleva al diritto di or-

ganizzare in proprio la difesa dell’ordine pubblico

269

.

L’Abbaz i a deg l i Sto l t i .

Accanto alle compagnie armate di quartiere, e a volte con una fun-

zione non troppo diversa, l’associazione più importante nella Torino

del Quattro e Cinquecento era la cosiddetta Abbazia degli Stolti. La

L’economia e la società

531

268

ASCT,

Ordinati

, 78, f. 103

v

.

269

HPM

,

Leges

, I, f. 747.