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perto importanti responsabilità di governo al tempo di Carlo I, e aveva

soffocato nel sangue una sommossa a Pinerolo, facendo impiccare im-

parzialmente colpevoli e innocenti; Bassano da Mantova, in una maca-

ronea composta all’indomani del suo assassinio, si compiace apertamente

della morte del nobile savoiardo, «qui fuit hostiliter amazatus nocte pas-

sata», e si augura che dopo la sua scomparsa la «rabiosa magninorum

turba» ritorni finalmente alle sue montagne, lasciando i Piemontesi pa-

droni del loro paese

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.

L’ostilità fra Savoiardi e Piemontesi toccava dunque il culmine in

quegli ultimi anni del Quattrocento, e non sorprende che i festeggia-

menti notturni del santo patrono, o le mascherate di Carnevale, ab-

biano offerto l’occasione per frequenti regolamenti di conti; l’odio dei

cittadini nei confronti dei montanari venuti dalla Savoia era tuttavia

destinato a lasciare il posto, di lì a poco, a una nuova spaccatura, in-

terna questa volta alla città. Per il Piemonte e per l’Italia tutta si apri-

va la pagina dolorosa delle invasioni francesi e spagnole; e anche a To-

rino, nel primo Cinquecento, la violenza risentì visibilmente della mu-

tata congiuntura. Non penso tanto alle crudeltà di cui si macchiarono,

e all’occasione rimasero vittime, le soldataglie contrapposte, giacché il

loro teatro erano soprattutto le campagne, pur con qualche eccezione:

nel 1526 Marin Sanudo ricevette a Venezia lettere da Milano, spedite

il 21 maggio, in cui si assicurava che «tutto il Piemonte è in arme, et

sono stati amazati circa 200 spagnoli in Turino, et se non v’era il du-

cha di Savoia non ne campava pure uno che fusse in quel contorno».

Più importante, per spiegare l’ulteriore crescita della violenza nelle stra-

de di Torino e la sua natura sempre più scopertamente politica, è il

diffondersi degli odi di parte; cui si accompagna la sempre maggiore au-

dacia dei sediziosi, di fronte al collasso finanziario dell’amministrazio-

ne ducale, e dunque all’impotenza della giustizia. Nel 1524 il consiglio

ducale, ormai residente in permanenza a Torino, denunciava «les as-

semblees qui se font de jour et de nuyt en ceste ville», e proponeva di

impegnare uomini e denaro per catturare i cospiratori; ma il suggeri-

mento restò sulla carta. A più riprese le autorità provvidero ad ammo-

nire o esiliare gentiluomini torinesi troppo accesi nel sostenere Francia

o Spagna, troppo propensi a circondarsi di bravi e a regolare nel san-

gue i conti con i rivali, e ogni volta si espresse la speranza «que la vil-

le en sera plus en paix»; ma nel 1534 la duchessa Beatrice era ancora

una volta costretta a scrivere al marito «touchant les bandes que se font

en ceste ville, ou les braves vont publicquement avecques les archibu-

L’economia e la società

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barbero

,

La violenza organizzata

cit., pp. 424-34.