

C E S A R E V I V O
P
rse la stona dell’umanità non ha ancora avuto
un uomo il cui valore, nella storia e nella fan
tasia popolare, sia divenuto rapidamente e total
mente universale come C. Giulio Cesare. Nessun
confronto è possibile con i più grandi: nè con Ales
sandro, nè con Carlo Magno, nè con Carlo V o
Napoleone, nè con i più eccelsi fra i geni dell’arte
o del sapere. Nè può essere diversamente, poiché
nessuna creazione umana fu mai così compiuta nella
sua universalità come lo Stato imperiale di Roma,
e, di questo Impero, Cesare non fu soltanto il fon
datore, ma il simbolo: esempio perfetto della umana
attitudine al comando politico, dello Stato che si
impersona nell’individuo e della personalità domi
nante che si transumana nello Stato.
Questo il Cesare-dio di Augusto e dei suoi
successori, questo il «Cesare armato con gli occhi
grifagni » di Dante, questo il Cesare che domina con
la sua infinita bontà, assente-presente in ogni istante,
la trasfigurazione Shakespeariana della vita di Plu
tarco: questo, infine, il Cesare che la nuova Roma
ha ricondotto sulla via dell’impero, nell’atto augusto
del saluto che sembra propiziatorio per la rinascita
del primato imperiale. Ma, per molti, il simbolo
cesareo, come tutti i simboli, ha una sua vita e una
sua grandezza che trascende la persona stessa di
Cesare, la sua vita storica. La storia dei molti storici
inetti ad intendere la grandezza, ostinati nel rendere
piccolo e meschino anche ciò che tale non è, a negar
la presenza dell’eroe anche quando egli sia sentito
come tale nei millenni, ha preferito molte volte cor
rere alla ricerca dei piccoli pettegolezzi raccolti da
biografi di decadenza ed ascoltare l’eco delle voci
meschine delle anime servili, per le quali non riesce
mai a comprendersi nessuna eccezione alla comune
miseria degli uomini meschini.
Sussisterebbe quindi un Cesare-uomo, un Cesare
vivo, e
vivente
fra
gli intrighi e le mezze misure e le
debolezze, e un Cesare-simbolo, portato alla gran
dezza
dalla abilità e dalla fortuna, alla sovrumana
gloria
dalla ragion di Stato. Eppure fl caso della vita
fisica
di C. Giulio Cesare, la sua ascesa prodigiosa,
la sua
fine tragica sotto i pugnali assassini dei cesa-
ricidi, hanno in
sè,
spogliati d’ogni falsa interpreta
zione malevola e d’ogni sciocca insinuazione, tutti
gli elementi di quella compiuta grandezza die Siila
riconosceva già nd lampeggiare dello sguardo di
Cesare giovinetto.
La vita dello Stato romano, nd momento in coi
Cesare vi si afferma per le prime volte, era ad un
punto cruciale. Da alcuni decenni una crisi gravis
sima lo andava travagliando. Una repubblica, la cui
costituzione, semplicissima e solidamente unitaria
nella sua formazione militare e sodale, aveva resa
possibile una graduale ma incontrastabile conquista
mediterranea, si dibatteva nd contrasti derivanti
dalle conseguenze della conquista stessa: formazione
di un ceto medio die aspirava ad avere la sua parte
nella vita dello Stato, pressione dell’elemento da cui
si traevano le Ione militari per un più equo ricono
scimento dei servigi resi, ripercussione economica
delle nuove possibilità di scambi aperta dall’esistenza
------- A? r r nM ' r ‘
t ; --
‘ ---- ■- 1?--- aa- 1
------ A
-
dei mercati
utoviiicmui
.
uiodc
iiz
QIF
ctuì
ocii excrocnxo
della cultura dknistica sulla dvfltà conquistatrice,
inquietudine spirituale creata dai contrapponi <n
nuove crederne e di nuove ledi alla tradizionale
religione su cui si incardinava lo Stato repubblicano.
La rirofa ikne dei Gracchi aveva — ritata « a
serie di contrasti che non trovavano sofazionr 11