

A lbo ri e sp lendori del G io rna lism o Torinese
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I e RR. Patenti del 30 ottobre 1847 sulla pubblica-
/.ione di giornali politici vennero finalmente anche
in Piemonte a lasciare libero sfogo alle voci dei
liberali e dei patrioti, soffocate dall’assolutismo cieco
e retrivo, e insofferenti ormai del bavaglio, che in
Toscana, nel Lazio, nella Romagna era già stato
spezzato.
Francesco Predari, ch’era giunto nel '44 in Torino
per dirigervi
YEnciclopedia Popolare
del Pomba, così
ha descritto le condizioni morali del Piemonte: « Io
arrivava in un paese, ove la predominanza gesuitica,
in tutti gli ordini della società e perfino nella milizia
e nella magistratura, era a mala pena tenuta a freno
dai ritegni di un re gelosissimo di qualunque predo
minio altrui in casa sua; pinzocherismo e corruzione
erano i due malanni che agitavano la vita domestica
e sociale di quei tempi ». E quanto alla censura,
convien ricordare che il 24 gennaio del '47 Caterina
Ferrucci si lagnava col Minghetti che in Piemonte
le era stata proibita persino la pubblicazione di un
suo opuscolo sull’educazione delle fanciulle povere;
e che sei mesi dopo Cesare Balbo scriveva a Roma
a Massimo d’Azeglio: «Qui si cammina, ammirabil
mente, a modo dei gamberi... Felice te che puoi
scrivere. Di qui per ora non si può. Castran tutto
ciò che si scrive. Io non mi sto colle mani alla cin
tola, ma poco possiamo. Io mi vergogno, io farei
come Alfieri, mi spiemontizzerei volentieri ».
E dove la censura non arrivava — doppia cen
sura, politica ed ecclesiastica — interveniva l ’ar
bitrio poliziesco a minacciare e a sopprimere.
Onde, pochissimi i giornali, e nessuno, natural
mente, politico; degli stranieri, pochi permessi, e
quelli solamente che s’ispiravano ai princip! assolu
tisti. Per le notizie pubbliche di tutto l’universo
(osserva argutamente il Bersezio) doveva bastare il
foglio ufficiale che si chiamava
Gazzetta Piemontese,
la quale soltanto poteva ricevere i giornali proibiti,
ed era sottoposta alla diretta vigilanza, occhiuta e
arcigna, non del Ministro degli Interni, ma del Mi
nistro degli Esteri, ch’era il potentissimo conte Solaro
della Margherita. E le notizie pubbliche del foglio
ufficiale (si badi bene) riguardavano di preferenza le
(1) Prolusione ad an cono libero di storia dd giorna
lismo italiano, tenuto nella R. Università di Torino, che
pubblico quale è stata pronunciata, senza le citazioni bi
bliografiche che ne aumenterebbero la mole.
Indie, la Cina, il Giappone; nulla vi si leggeva delle
repubbliche d ’America, nulla dei dibattiti delle
Camere inglese e francese. E i pochissimi giornali
s’occupavano soltanto di letteratura, di arti, di
scienze, di agraria.
* * •
Non è meraviglia quindi se in molte parti si
mormorasse, s’imprecasse, si mordessero i freni. E un
giorno dell’ottobre 1847 Michelangelo Castelli osava
innalzare alla Maestà di Carlo Alberto questa istanza,
che è un documento storico e psicologico indubbia
mente notevolissimo:
Sire,
le condizioni della nostra stampa periodica non corri
spondono più al posto cui la M. V. vuole innalzata la nazione
piemontese, e l'opinione pubblica e moderata sente ora più
che mai il bisogno di proclamare quei sentimenti che armo
nizzano colle alte mire sovrane... È cosa acerbamente sen
tita da ogni animo onesto e leale che sia lecito a tutti di
esporre e di interpretare le cose del Piemonte fuorché ai
Piemontesi... Ondechè non tratto da stranieri esempi, non
inoltrantesi a pressare una misura, della quale niuno più
che la M. V. nell’alta Sua prudenza può pesare l’opportunità,
ma nel solo intento di far conoscere al mondo le vere con
dizioni di questa terra su cui. più che sovra ogni altra d'Italia,
l’Europa tiene fermato lo sguardo, il sottoscritto supplica
la M. V. di poter fondare un giornale ebdomadario autoriz
zato a trattare egualmente le materie politiche e letterarie
correnti.
Noi non sappiamo se sull’animo dubbioso e con
trastato del Monarca lasciarono un’impronta queste
oneste e coraggiose parole del giornalista liberale.
Ma sappiamo però che venti giorni dopo si pubbli
cavano in Torino quelle RR. Patenti, a cui ho accen
nato e che aprivano in Piemonte la prima via alla
propaganda politica.
• * •
Vero è che anche prima, in quei pochissimi gior
nali, a cui era concesso occuparsi di letteratura, di
arti, di scienze, s’era talvolta manifestata prudente
mente qualche voce coraggiosa, e tra le righe di
quegli articoli che apparivano politicamente insigni
ficanti trapelava talora la luce di un’idea, il fremito
di propositi nobilissimi per quanto inconfessabili.
Non tutti iimnmma in Piemonte si «ano supina
mente piegati all’assolutismo e all’arbitrio imperanti.