

C E S A R E V I V O
schissime, con le quali veniva senz’altro bilanciato
il pericolo che veniva dai sudditi orientali. Roma
e l’Italia, nella concezione che rivela luminosamente
la grandezza del genio di Cesare, divengono il centro
e assumono la funzione mediatrice fra l’oriente e
l’occidente ormai egualmente romani facendo così di
Roma il vero e indiscutibile cardine dello Stato
imperiale mediterraneo.
La conseguenza della grande conquista era, logi
camente, la soluzione della crisi dello Stato repubbli
cano. Mentre un grande capo, con un gesto di genio
e con una corona di vittorie senza paragone, dava
un assetto statale e imperiale a quell’assieme di ter
ritori. frutto di conquiste gloriose ma non ancora
uniti fra di loro da nessun vincolo, che era il dominio
di Roma, con un moto non solo materialmente con
comitante, ma intimamente collegato e connesso, si
maturava la forma politica che doveva garantire il
valore della conquista e l’assetto dello Stato, la possi
bilità della unificazione nello spirito e nel diritto,
cioè, in sostanza, la realtà dell’imperialismo inteso
nell’unico senso possibile, cioè nell’universalità del
principio e della organizzazione statale.
L ’imperialismo romano, infatti, ha il suo segreto
(come ogni imperialismo non effimero e non fondato
soltanto sul prepotere della forza o del denaro) nel
valore universale della legge che dello Stato è espres
sione e della integrale soluzione del problema del
l’adattamento alla realtà storica delle forme di go
verno dei popoli. È imperiale ogni popolo che ha
saputo dare al mondo un insegnamento politico uni
versalmente valido, tanto se l’impero corrisponde al
possesso come se non vi corrisponde: ogni altra
forma di imperialismo, fondata soltanto su criteri
materialistici, come la razza, il mercantilismo o le
armi, è prepotere, e come tale cosa transitoria, e
non impero.
Cesare, dando la soluzione dell’assetto esteriore
e della unità fondamentale dell’impero di Roma,
aveva data anche la soluzione istituzionale, la for
mula di diritto pubblico che doveva rappresentare
la nuova sintesi politica dello Stato romano. Uno
Stato che si fondava sulTequilibrio di forze e di
genti e che comprendeva tutto il mondo mediter
raneo e tutte le popolazioni direttamente o indiret
tamente partecipi della cultura classica non poteva
più considerare come ceto di governo soltanto una
aristocrazia fondiaria e cittadina nè un medio ceto
plutocratico italico. L ’argomento della contesa fra
le fazioni dell’Urbe era superato nel momento in cui
C. Giulio Cesare varcava il Rubicone alla testa di
legionari transpadani, i quali, per la solo loro pre
senza nelle legioni, già significavano una concezione
nuova dello Stato romano. Era tutto un complesso
di genti che, divenuto un solo popolo universale
agli ordini di un vero Capo, del suo Eroe, spodestava
una aristocrazia di privilegiati e di sorpassati, la
quale aveva trovato in Pompeo il suo generale. La
vittoria di Cesare contro Pompeo significò la salvezza
dell’idea imperiale Romana. Dopo questa vittoria,
Roma cessava di essere la patria dei quiriti per dive
nire la patria del mondo, grazie a Cesare, e per i secoli.
Lo Stato imperiale, quale Cesare lo concepì e
lo fondò, non era basato sulla forza. Cesare fu
dic-
tator perprtuus
per l’esercito, ma il suo potere civile
era fondato sul suo prestigio e sul suo potere umano
e sovrumano. La felice condizione cui Cesare aveva
ricondotto lo Stato romano poneva già le basi di
quella restaurazione religiosa che doveva essere una
delle tappe principali dell’ opera di Ottaviano
Augusto, e quindi nel suo potere e nel suo p
vi era, come in ogni cosa romana e secondo le più
venerabili tradizioni repubblicane, il concorso e l ’ap
poggio degli dèi che avevano in Roma la loro dimora
e il loro tempio. Capo d ’uno Stato di popolo, Cesare
assumeva la funzione permanente dei tribuni, rive
stendone a vita il potere, cioè si investiva della mis
sione di guidare ed aiutare il popolo di tutto il
mondo romano, e, pontefice massimo, di determinare
la vita religiosa. La grandezza di Cesare, di fronte
al mondo antico e di fronte al mondo moderno, era
quella d’aver superate le due forme antinomiche del
mondo antico, lo Stato-città, limitato e impotente a
qualsiasi realizzazione, e lo Stato dinastico, retto
soltanto sulla forza e sull’intrigo di corte, per giun
gere ad una formula e ad una creazione di valore
eterno, universale, lo Stato delle genti, lo Stato di
tutto un popolo, lo Stato che determinava la vita
del popolo, laddove altro non erano che genti, città
o tribù.
MARIO ATTILIO LEVI