

C E S A R E V I V O
tentativo di Siila, di uscire dalla crisi gettando sulla
bilancia il peso della spada e introducendo le legioni
nella lotta politica, aveva provvisoriamente sospesi
i conflitti, ma li aveva ben presto aggravati. L ’eser
cito, divenuto forza politica, faceva pesare sulla
vita ristretta dell’Urbe imperiale le aspirazioni e i
bisogni di tutte le forze che nell’esercito confluivano,
cioè mutava le fazioni della città in fazioni di tutto
lo Stato e di tutti i dominii e impediva che Roma
fosse sorda alle voci d ’Italia e del mondo. Una fresca
ondata di vita giungeva attraverso questo popolo
armato, nuova vitalità per la religione animata di
schiette fedi tosto assimilate alle tradizioni romane,
nuova sensibilità nella dirigenza politica, uomini
nuovi ai posti di comando gelosamente custoditi da
una aristocrazia sovraccarica di gloria e di prestigio,
ma spesso stanca e sciupata e corrotta. Tuttavia la
reazione delle forze conservatrici, resa anche più
forte dal valore religioso annesso alle tradizioni re
pubblicane, tutte connesse con culti di divinità, di
fendeva aspramente tutte le istituzioni e tutti i pri
vilegi di Roma, largamente appoggiata da quanti
avevano interesse a contrastare e impedire ogni mu
tazione nelle forme politiche e nell’assetto della
distribuzione della ricchezza.
Cesare, fin dai suoi primi passi nella carriera
politica e militare — è noto e superfluo ricordare
come, in Roma, l’una e l’altra fossero strettamente
compenetrate e interdipendenti — prese una posi
zione netta e precisa in questi contrasti. Discendente
di una delle famiglie nobili e tradizionalmente pri
vilegiate, ma imparentato strettamente, per via ma
terna, con quel C. Mario che fu il maggior campione
delle rivendicazioni delle forze nuove e rinnovatrici,
con l’opporsi, fin dai suoi inizi, al grande Pompeo»
arbitro apparentemente assoluto dello Stato e del
l’esercito, in nome di forze conservatrici che larga
mente in lui confidavano, portò nella vita pubblica
romana un afflato di nuove concezioni e di nuove
aspirazioni. La storia amante della indagine sugli
intrighi e sugli scandali ha potuto esagerare o defor
mare a suo piacimento la condotta politica di Cesare
sino al suo consolato e sino all'inizio della impresa
gallica, ed ha potuto travisarlo sino a farne un vol
gare politicante demagogo e implicato in varie con
giure: ma in realtà Cesare svolge, in quei suoi primi
e più difficili anni, una inflessibile azione contraria
alla supremazia pompeiana e alla illusoria soluzione
che Pompeo, con l’appoggio di Cicerone e di altrettali
politici del ceto senatorio, tentava di dare alla crisi
politica romana. Sia che parteggi nettamente contro
Pompeo, sia che venga con lui ad accordi diretti e
ne appoggi in apparenza le direttive, in realtà è
chiaro, in ogni atto, come Cesare miri sempre a non
compromettere il fine ultimo di una soluzione totale
della crisi dell’impero repubblicano.
La grande politica di Cesare comincia però con
la sua guerra gallica. Capolavoro militare che oggi
ancora deve essere, ed è, oggetto di profonde medi
tazioni dei tecnici, questa mirabile impresa è anche
un capolavoro politico: ad essa l’impero romano
deve la sua grandezza e la sua salvezza. Senza rifare
il calcolo, troppo sottile per non essere artificioso,
fatto da recenti e valorosi storici francesi di «ce
que Rome doit aux Gaules », è indubbio che, senza
la conquista gallica, l’impero romano sarebbe stato
una costruzione senza equilibrio e quindi di difficile
unità e di precaria durata, come l’impero del grande
Macedone. Centro in Roma, ma tutto proteso verso
l’Oriente ellenistico, lo Stato imperiale mediterraneo
creato dalla repubblica e dai suoi grandi capi, da
Scipione l’Africano fino a Pompeo Magno, non aveva
nè in Italia, nelle sue radici indigene, nè nelle scarse
e malsicure provincie occidentali sino allora fatico
samente conservate, una riserva di energie suffi
cienti per bilanciare l’influenza dei dominii orientali
e per inquadrarli nella sua propria civiltà politica.
Qualche recente esempio aveva già dimostrata la
difficoltà di quel dominio. La grande conquista gal
lica è quindi assai più che una guerra di espansione
o una affermazione di potenza. Immessa nel corpo
deUTmpero la più complessa e temibile, e anche,
relativamente, la meno barbarica fra le genti occi
dentali non ancora sottomesse al dominio di Roma,
Cesare sistemava l’equilibrio dello Stato, gli dava
l ’apporto di una incalcolabile riserva di energie fre