

A L B O R I E S P L E N D O R I D E L G IO R N A L I S M O T O R IN E S E
A a f d a B r a H c r l*
alfieriano, posposto dai classicisti al teatro greco,
ammoniva: «Italiani, che amate la vostra patria,
inchinatevi a Vittorio Alfieri. In lui sono il nome,
la gloria, i fati d’Italia ». E riferendo di un’accademia
di poesia estemporanea, esclamava: «O Italia, quando
sarai liberata dai ballerini, dagli accademici e dagli
improvvisatori? », e faceva ricordare le parole che il
suo conterraneo Baretti aveva scritte ottantanni
prima: «Povera Italia! quando mai si chiuderanno le
tue scuole di futilità e d ’adulazione! ». E compiendo
il 4° anno del
Messaggiere,
prometteva ai suoi lettori:
«Noi chiameremo a rassegna con libero sguardo il
movimento intellettuale di tutte le italiche province,
e ci adopreremo in ogni miglior modo per evocare
gli animi ad una letteratura progressiva e nazionale.
Nazionale e progressiva letteratura chiamiamo noi
quella che aspira a collegarsi coi principi che reggono
la civiltà europea, che tende fra le sparse rovine a
raccogliere un elemento di edificazione, che si ado
pera a ricongiungere l’espressione letteraria colla
condizione sociale, che nè spregiando gli stranieri,
nè servilmente imitandoli, ci consiglia una vita intel
lettuale nuova e forte, animosa, nostra, italiana ».
Così il
Messaggiere Torinese
divenne, si può dire,
l’unico rifugio dell’opposizione sino quasi al 29 di
cembre 1849 in cui morì; e il Brofferio ebbe, se non
altro, il gran merito, prima assai del Balbo, del Gio
berti e del D'Azeglio, di aprire gli occhi alla monarchia
piemontese intorno alla sua vera missione; tanto che
anche il Romani, pur polemizzando con lui, sentiva
che c’era nel suo avversario una generosa sincerità
e un nobilissimo cuore, che gli facevano perdonare
errori e improntitudini.
Sì, anche errori, e non lievi; perchè il Brofferio
fu, per dodici anni, avversario ostinato e infaticato
del Conte di Cavour; e ne combattè la politica sempre
e dovunque, sui giornali, nei comizi, in Parlamento,
persino con le sue canzoni in dialetto; e fu contro la
spedizione di Crimea, da lui giudicata funesta, e,
più tardi, contro l ’alleanza francese, proclamata da
lui vergognosa. È vero che il Conte di Cavour, come
soleva fare con certi suoi avversari, mostrò sempre di
curarsi assai poco del suo bollente oppositore; ma
forse ha un po’ di ragione il Faldella quando osserva
che «l’audace saviezza di Camillo Cavour non avrebbe
con volo poderoso raggiunta l'alta meta, se non gli
fosse stato di incitamento la satira ed anche l’invet
tiva di Angelo Brofferio ».
* * *
Ma il giudizio sull’attività politica del Brofferio
mi ha allontanato troppo da quegli anni, nei quali,
imperversando contro il giornalismo la più cieca rea
zione, non tutti, come dissi, si piegarono supinamente
all arbitrio.
In quello stesso anno 1836 infatti, in cui il Brof
ferio trasformava il commerciale
Messaggiere Tori
nese
in una gazzetta letteraria, il marchese Massimo
Cordero di Montezemolo e Gaspare Gorresio tenta
vano di far rivivere in Piemonte lo spirito e le ten
denze
de\YAntologia
del Vieusseux, fondando quel
Subalpino,
giornale di scienze, lettere ed arti, che
rappresenta uno dei più singolari atteggiamenti della
borghesia piemontese prima del '48, e in cui, con un
vigile senso della realtà storica e con indubbia con
sapevolezza delle idealità mazziniane, si manifesta,
con atteggiamento prettamente riformista, una sor
prendente preoccupazione del problema educativo e
dell’unità culturale del popolo italiano. Tanto che il
Mazzini stesso, che fu col Dandolo, col Giorgini, col
Montanelli, fra i collaboratori del periodico, scriveva
il 26 dicembre del '39 a sua madre: «Vi sono in quel
giornale pagine arditissime; e non capisco come mai
si governi il paese ove siete, tra le protezioni crescenti
ai Gesuiti e certi atti quasi inesplicabili di tolleranza ».
Senonchè la tolleranza doveva durar poco: tre
mesi più tardi, e pare proprio per un articolo del
Mazzini, il
Subalpino
era soppresso.
• • •
Ma a risvegliare la coscienza morale e civile del
popolo, a preparare sagacemente e prudentemente
tempi nuovi, a difendere la necessità dell’istruzione
e dell’educazione popolare, integrando e intensifi
cando l'opera del
Subalpino,
erano già uscite dal
gennaio del 37 quelle
Letture popolari,
che. soppresse
nel marzo del '41, ricomparivano ostinatamente un
anno dopo col titolo di
Letture di famiglia,
e ostina
tamente resistevano sino al maggio del 47.
Siamo ormai negli anni della gestazione penosa
e laboriosa delle aspirazioni nazionali, nei quali il
giornalismo piemontese vanta la sua storia più bella.
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