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dipendenza, il

Risorgimento

e la

Concordia

impersona­

vano soprattutto l’indole e

la mentalità dei loro fon­

datori, non divisi da diver­

genze di idee, ma piuttosto

di metodi, di modi e di stile;

onde al senso profondo della

realtà e della logica, che go­

verna lo spirito del Cavour,

non timoroso di mutazioni,

ma desideroso di modera­

zione e di prudenza; non

alieno da audacie, ma di

educazione e di tendenze

conservatrici; stanno di

fronte, mortificate talora

dai morsi della censura,

l’impazienza focosa, l ’im­

prudenza generosa, la viva­

cità incitatrice e spregiu­

dicata del Valerio, a cui

tarda di non poter conver­

tire il pensiero in azione e

che battaglia per tutte le

più nobili idealità patriottiche e civili: per la libertà,

per risvegliare e scuotere il sentimento nazionale,

per una lega offensiva e difensiva con gli altri Stati

costituzionali italiani, per i confini naturali della

penisola, per l’amnistia agli esuli e l’emancipazione

dei Valdesi e degli Ebrei, per la pubblicazione, con

lo Statuto, delle leggi sulle elezioni, sulla stampa

e sulla Guardia Nazionale.

Non che la

Concordia

non conoscesse talora la

moderazione consigliata dagli eventi, così come

quando volle calmare le impetuose intemperanze di

Genova e comporre i dissensi tra Liguri e Piemontesi.

Ma tant’è: il carattere vivace e impetuoso del Valerio

ha sin da principio il sopravvento e impone al gior­

nale la sua dittatura assoluta e autoritaria, non da

tutti i collaboratori gradita e tollerata.

La conclusione è che, a dispetto del suo stesso

nome, non passa un mese che nella famiglia della

Concordia

scoppia il dissenso, e i più, insofferenti

della dittatura valeriana, se ne allontanano e fon­

dano quel giornale

L ’Opinione,

che sotto la direzione

di Giacomo Durando prese un posto intermedio tra

la vivacità incomposta della

Concordia

e il prudente

riserbo del

Risorgimento.

E se acquistò poi anch’essa,

quando il Durando passò dalla redazione del giornale

ai campi di battaglia della Lombardia, uno spirito

battagliero e aggressivo con la nuova direzione del

Bianchi Giovini, non passò però molto tempo che,

sotto la guida abile, equilibrata e sagace di Giacomo

Dina,

l'opinione

divenne il più serio, autorevole e

diffuso giornale del partito liberale moderato, i cui

articoli sapevano elevarsi al di sopra degli interessi

di parte e delle passioni impulsive del momento,

interpreti fedeli e discreti del pensiero del Cavour e

della sua politica ardita e preveggente.

Il Dina infatti assumeva la

direzione

deU’Opinione

nel '52;

da due anni era già morta la

Concordia

del Valerio; da due

anni il Cavour aveva lasciata

la direzione del

Risorgimento,

e aveva già più di una volta

dovuto dolersi, e talora sde­

gnarsi, con esso per non essere

stato compreso; il 31 ottobre

di quell’anno stesso il

Risorgi­

mento

cessava le sue pubbli­

cazioni.

Dice bene Adolfo Colombo:

«Giacomo Dina portò nel gior­

nalismo coll’ingegno agile e

versatile, nutrito di coltura

profonda, quelle qualità che

sono proprie di uno statista:

uno spirito eminentemente pra­

tico e riflessivo, un intuito fi­

nissimo nel comprendere una

situazione, un temperamento

calmo che anche nei momenti

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.

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più critici non si lasciò mai

fuorviare dalla passione, un equilibrio mirabile di

tutte le facoltà ».

Ma a completare il quadro del giornalismo tori­

nese in quegli anni pieni di speranze, di delusioni e

di fervore, giova ricordare anche che il 16 giugno 1848

era uscito un altro giornale, ultimo del manipolo

glorioso, che, per l’ardore, l’aggressività e la demo­

cratica e patriottica intransigenza delle sue manife­

stazioni, era più vicino alla

Concordia

del Valerio

che

a\\’Opinione

del Durando.

L ’esercito di Carlo Alberto infatti era già in Lom­

bardia, quando Felice Govean e Giambattista Bot-

tero, con pochi altri, pubblicavano

L ’Italiano. Gaz­

zetta del Popolo,

che tra processi e condanne tenne

alta la fede nei destini dell’Italia, assecondando il

trionfo dei principi democratici, inflessibile contro le

mene dei clericali e dei reazionari, contro i timidi e

gli imbelli, contro lo stesso Parlamento, in cui i

troppi dissenzienti si perdevano in vane schermaglie,

mentre urgevano minacciosi alle porte i problemi

più gravi.

Onde non son da contare gli avversari che sin dal

primo anno la

Gazzetta del Popolo

si vide crescer

d'attorno nel campo reazionario e clericale, messo a

rumore da quegli atteggiamenti e da quelle iniziative,

ma sopra tutto dalla questione pericolosamente sol­

levata del fóro e dell’immunità ecclesiastica. Avversari

spesso temibili per audacia e per ingegno, come, per

citarne uno, quel teologo Giacomo Margotti, la cui

Armonia,

comparsa il 4 luglio del 1848, il Conte di

Cavour era costretto a sopprimere durante la guerra

del '59.

Riprendendo per la terza volta nel corso di un

ventennio le mie lezioni di storia del giornalismo

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