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L A P R IN C I P E S S A D I L A M B A L L E

d ’Orléans il viso della cognata. E ciò, non come una

minaccia ma come un tributo ed un plauso al prin­

cipe demagogo, cugino del re, che, abolendosi i titoli

di nobiltà, aveva già assunto il nome di Filippo

Eguaglianza. Il principe, quando la turba apparve da­

vanti al palazzo, stava a tavola colla signora Buffon,

sua nuova amante, e con alcuni allegri commensali.

Egli non osò rifiutare quella macabra dimostrazione

di omaggio che il popolo gli offriva per mezzo di assas­

sini. Si alzò e presentandosi al balcone contemplò,

per qualche tempo, silenzioso ed accigliato, il capo

mozzo di quella sua parente, mentre dalla via si

elevavano clamori ed evviva. Madama Buffon, dai

cortinaggi, scorse pure quell'ondeggiante stendardo

di morte e disse atterrita giungendo le mani: «Dio mio,

anche la mia testa sarà portata così per la strade».

E cadde svenuta.

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duca, rinchiuse le finestre, cercò

di far rinvenire e consolare l’amica. «Povera donna,

esclamò, compiangendo la sorte della principessa, se

mi avessero dato ascolto la sua testa non sarebbe là».

Poi si sedette e rimase cupo e silenzioso sino alla

fine del pranzo.

* * *

Gli eredi del pittore Gaetano Ferri, oltre la let­

tera spiritica dell’autore dei

Miei ricordi

diretta alla

contessa Laura Zanucchi di Pesaro, posseggono pure

un'importante lettera dello stesso d’Azeglio diretta al

Ferri. Il quale, oltre ad essere uno spiritista con­

vinto, che scrisse varii studi sullo spiritismo pubbli­

catigli dai fratelli Bocca di Torino, era un valente

pittore di Bologna. I.a lettera dice testualmente:

«Caro Gaetano,

«Mi son messo in mente di guadagnarmi una sen­

seria di paciere. Gonin mi ripete sempre che se nel

calore del discorso gli sfuggì una parola che poteva

prestare ad equivoco, egli non ebbe mai e poi mai

intenzione d’applicarle il significato, che oltre un’of­

fesa gratuita, sarebbe in bocca di chiunque una pa­

rola senza senso. Egli non ha nessuna difficoltà d’as-

sicurarla di ciò a voce, poiché non direbbe altro se

non quello che ha sempre pensato di favorevole a

suo riguardo. Fra artisti e fra valentuomini bisogna

dissipare questi malintesi. Venga domani a pranzo,

e dopo pranzo io metterò il discorso fra noi tre, e cer­

cherò di ricordarmi del mio antico mestiere di diplo­

matico per far la cosa con garbo. Già si tratta di

dieci parole al più, e poi si riprende le forme solite

come se mai non fossero state interrotte. Senza che

si secchi a rispondermi, parli e combini con Stefanoni

che merita la fiducia d’ambe le parti, e con ciò suo

affezionatissimo

«M.

d

'A

zeg l io

».

In alto notasi la corona marchionale e le iniziali

A. M. intrecciate in anagramma. In calce sta scritto

semplicemente: «sabato», senza altra indicazione di

data. L ’indirizzo sulla busta è semplicissimo: «cavalier

Gaetano Ferri », e più sotto in parentesi: «Azeglio ».

Dirò dell’incidente che diede luogo alla lettera.

Il pittore Gaetano Ferri, uomo facoltoso, che posse­

deva una bella villa ad Oggebbio sul lago Maggiore

presso quella gloriosa di ('annero del d ’Azeglio,

aveva ideato ed abbozzato, di sua esclusiva inizia­

tiva, un quadro colossale:

la principessa di Lam-

balle.

Professori, artisti e giornalisti si affollavano,

per ammirarne la concezione grandiosa, nello studio

del pittore, aU’Accademia Albertina, dove il Ferri

insegnava figura.

Intanto da tutto quell'affollarsi di artisti e di

curiosi nacquero le dicerie ed il Gonin, l’artista ge­

niale che illustrò pel primo, dietro incarico di Ales­

sandro Manzoni,

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promessi sposi,

andava propa­

lando per Torino la notizia che il Ferri componeva

quel quadro per ritrame poi un piezzo rilevante.

Nemico com’era della venalità il Ferri si adontò

prendendosela appunto col Gonin. Ed il d ’Azeglio,

presidente allora dell'Albertina, scrisse la lettera sur­

riferita dalla segreteria deU’Accademia.

Importante documento del resto, che addimostra

com’egli prendesse a cuore le sorti d ’amicizia di due

cittadini carissimi. Uomo essenzialmente di carattere

com’era, non poteva soffrire che esistessero malin­

tesi dannosi al mutuo rispetto di due valentuomini.

Egli, che aveva proclamato altamente all'Italia, bril­

lante paladino del suo risorgimento, come nella nostra

patria, pur essendo una libera ed indipendente, man­

cassero gli italiani, ossia gli uomini di carattere, po­

teva portare sè stesso come l’esempio più chiaro e

convincente da imitare.

Ma ritorniamo al quadro. Quando don Luigi di

Portogallo, marito della regina Maria Pia di Savoja,

visitò l’Accademia Albertina, a Torino, ammirò assai

il quadro del Ferri e disse all'autore che glielo finisse

per suo conto. Il cav. Gaetano, onorato della commis­

sione regale, terminò puntualmente il quadro ed

egli stesso lo portò in Portogallo, dove eseguì pure il

ritratto di S. M. il Re don Carlo, allora bambino.

Così nella già reale galleria di Lisbona, grazie alla

bella lettera, che l’autore di

Ettore Fieramosca,

di

Nicolò de’ Lupi

e de

Gli ultimi casi di Romagna

scrisse, dissipando rincrescasi equivoci tra due valen­

tuomini e ripristinando la buona lena del lavoro nel

Ferri, oggi ancora ammiriamo commossi e trepi­

danti nella

principessa di Lamballe

la più dolorosa

e lagrimatissima vittima della rivoluzione francese,

Maria Luisa, nata principessa di Savoja Carignano,

alla quale, trascinata davanti ai giudici, nelle terribili

giornate del Terrore, fu gridato: «giurate di amare la

libertà e l’uguaglianza e di odiare il re e la regina».

Ed ella rispose: «giuro la prima cosa, l ’altra no

perchè non so odiare». Le fu sopra il ciarpame sangui­

nario in rivoluzione che la spinse sopra un mucchio

di cadaveri e la finì a colpi di accetta. Poi, staccato

il bel capo dal busto, lo conficcò ad un’asta e fra le

urla ignominiose d ’una folla briaca di odio cruento

e di sterminio orrendo lo portò sotto le finestre della

prigione di Maria Antonietta perchè quell’infelicis-

sima potesse vedere anche una volta l ’amica del cuore.

Povera creatura! Era buona, era giusta, era bella.

NINO

DALTHAN