

A L B O R I E S P L E N D O R I D E L G IO R N A L I S M O T O R I N E S E
politica del rinnovamento italiano, spingendo i go
vernanti (secondo la formola di Cesare Balbo) e
moderando i governati; quando si pensa che tali
furono l ’autorità e il prestigio di quel giornale, che
il D’Azeglio, prima di sottoporre a Vittorio Emanuele
il proclama di Moncalieri, non disdegnò di sentire e
di seguire il parere dei suoi compilatori; e il Cavour,
divenuto ministro, e rievocando i primi anni del suo
periodico, fucina feconda di uomini di governo, si
compiaceva di riconoscere che, dopo lo studio delle
matematiche, la migliore palestra di vita politica era
stata per lui quell’ufficio di giornalista; quando si
pensa alla miniera preziosa che offrono quelle pagine
allo studioso del nostro Risorgimento, nelle quali il
grande statista stillò il suo pensiero e fermò salda
mente i suoi propositi e diede ali al suo sogno nella
lotta dura e nella fatica sfibrante che non avevano
tregua; c ’è in verità da meravigliarsi che fra tanto
gemere vano di eruditissimi torchi, e il sorgere di
cattedre di giornalismo, più o meno ufficiali, non sia
stato ancora scritto sul
Risorgimento
quello studio
ampio e documentato che sarebbe necessario e do
veroso.
Chi scorre quelle pagine, in cui l’anima del poli
tico pare talora sferzata da un sottile e penetrante
spirito di ribellione, e il senso di moderazione, che
faceva stringere il fascio dei liberali contro gli eccessi
democratici, non impediva di condannare quella
povera legge sulla stampa ch’era parsa a tutta prima
un prodigio, e di proclamarla «una sfida contro la
libertà del pensiero »; ha la sensazione sicura della
forza morale di quel giornale, sorto per la volontà
indomabile di pochi uomini, con un programma poli
tico a tinta giobertiana dettato da Cesare Balbo, e
unprogramma economico, dettato da Camillo Cavour,
limpido e ardito come un grido di guerra; ma che il
15 dicembre del '47 usciva alla luce fra le diffidenze
mal celate dei conservatori e l ’aperta ostilità dd
popolo che lo chiamava con disdegno «il giornale
degli aristocratici >. Diffidenze e ostilità, che il
Ri
sorgimento
fini col vincere, quando un patrizio come
Cesare Alfieri prese a combattere i pregiodisi di
casta e a invocare l’unione e la concordia dei citta
dini; e Michelangelo Castelli, raccomandando la mo
derazione e la prudenza, preconizzò nella monarchia
la salute d’Italia; e Camillo Cavour, invocando, dopo
le riforme, nuove e più larghe concessioni, ottenne
che Carlo Alberto largisse nnalmente la costituzione
e, scoppiata l ’insurrezione di Milano, lanciò il suo
storico articolo
L ’ora suprema per la monarchia sarda
è suonata,
la mattina dello stesso 23 marzo, in cui
la guerra liberatrice era ufficialmente decisa e Carlo
Alberto, dalla loggia di Piazza Castello, l’annunziava,
agitando la sciarpa tricolore, al popolo torinese.
* * •
Ma il
Risorgimento,
tuttavia, non ebbe mai con
sè tutto il popolo. La gioventù, buona parte della
borghesia, chi ardendo per la nobilissima causa era
insofferente degli indugi e sdegnoso della politica pru
dente, più che in Camillo Cavour, trovarono an
cora una volta in Lorenzo Valerio il loro capo, e
quindi nel giornale
La Concordia,
che compariva alla
luce quindici giorni dopo fl
Risorgimento,
la loro voce
e la loro bandiera.
Era in sostanza ancora la lotta sorda e tenace
delle dne tendenze che nella vita politica dei popoli,
quando urge l’assillo della mèta e sono incesti i mezzi
e le sorti, si trovano Tona contro l’altra a contra
stara
3
dominio e fi vanto della vittoria.
Entrambi liberali, entrambi giohqtiani e monar
chici, Vestali vigili e fedeli dd fuoco sacro della»