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A L B O R I E S P L E N D O R I D E L G IO R N A L I S M O T O R IN E S E

Dire

letture popolari

è come dire Lorenzo Valerio:,

un altro giornalista di razza, senza la tara morale

del Brofferio. Spirito pratico, profondamente e sin­

ceramente popolano, rigido e intollerante negli atti

e nei sentimenti, conscio e orgoglioso del proprio

valore, sprezzatore degli onori e delle distinzioni

governative, come del patriottismo vuoto e parolaio

dei pappagalli, di una probità esemplare, Lorenzo

Valerio, giudicato dal Mazzini «una delle migliori

anime che io mi conosca in Torino », non aveva

saputo nascondere nemmeno a Carlo Alberto, quando

il Re aveva voluto conoscerlo, gli sdegni nobilissimi

del suo animo generoso e assetato di bene; onde, dice

giusto il Bersezio, il sovrano e il tribuno «si separa­

rono, dubitosi, sospettosi, e quasi direi paurosi l’uno

dell’altro peggio di prima ».

Eppure le

Letture popolari

erano uscite proprio

per il favore del Re, nonostante l ’avversione della

Curia, della Polizia e della Corte; e quando furono

soppresse, fu specialmente per il favore del Re che

poterono rinascere sotto le spoglie delle

Letture di

famiglia.

Il Solaro della Margherita, che era l ’esponente

della reazione dominante, lamentava infatti nel suo

Memorandum

che quel giornaletto s’era lasciato «con

troppa facilità pubblicare, sebbene le tendenze do­

vessero far avvertiti che era un primo saggio di

fallaci lezioni dirette a quella classe che ha bisogno

di lavoro, di quiete, non di essere spinta a maggiori

speranze, che, non realizzandosi, ne annientavano

la felicità ».

E il Valerio invece aveva posto come motto delle

sue

Letture

: «l’ignoranza è la massima e la peggiore

delle povertà »; e aveva chiamato a collaborarvi il

Romagnosi, il Balbo, il Tommaseo, il Boncompagni;

e, prima che si facesse promotore di asili infantili,

di scuole popolari, di casse di risparmio, di società

di mutuo soccorso, di comizi agrari, destando diffi­

denze e sospetti di repubblicanesimo, se non addirit­

tura di socialismo, aveva con fervore di apostolo

propugnato su quelle pagine, insieme con l’italianità

del Piemonte, l ’istruzione del popolo, il rispetto dei

suoi diritti, l ’uguaglianza dei cittadini di fronte alla

legge. Onde, fu ben detto che le parole che per il

Valerio furono scolpite più tardi nell’asilo infantile

di Ancona «

Curò l’educazione della plebe perchè sor­

gesse a dignità di popolo

», caratterizzano veramente

l’opera sua giornalistica nel perìodo anteriore

al '48.

Ma quando, nel numero del 23 gennaio '41, si

lesse che «la soluzione delle più importanti questioni

sociali deve muovere dalle masse e non ricercarsi

fuori del grande elemento popolare »; e quando, più

tardi, nel numero del 13 marzo, il conte G. B. Mi­

chelini osò domandarsi: «Che cosa avverrà se il

grande accrescimento del potere popolare, l ’immensa

estensione della popolare influenza, che, dove più

presto dove più tardi, non mancheranno di prevaler

dappertutto, non saranno temperate, raffrenate dalla

direzione di una proporzionata scienza, dal sindacato

della virtù? »; allora i reazionari ebbero partita vinta

e le

Letture popolari

furono soppresse.

E se ricomparvero, come ho detto, il 12 marzo

del '42, togliendo dal titolo quel

popolari

che puz­

zava di eresia, ma conservando lo stesso spirito e gli

stessi propositi, e aggiungendo ai vecchi collaboratori

altri fra i più begli ingegni del Piemonte e dell’Italia,

esse non ebbero vita lunga; chè già nel marzo del '45

l’aver propugnato l ’introduzione di biblioteche cir­

colanti nei Comuni dei

RR.

Stati parve intollerabile

audacia; finché un articoletto che, lodando i Vercellesi

per aver largamente contribuito al benessere della

classe agrìcola, ne commentava troppo arditamente

l ’atto generoso, provocava il 27 maggio del '47 la

soppressione definitiva del periodico valeriano.

• * •

Pazienza! Se quella fiaccola generosa era spenta,

un’altra ne aveva accesa già da un anno Francesco

Predali, per illuminare i progressi delle scienze, delle

lettere e delle arti in Italia, e tener desto, più che nel

popolo, al quale aveva già pensato il Valerio, nel

cuore della borghesia e dell’aristocrazia piemontese,

il fuoco sacro della Patria. E con l’aiuto di Cesare

Balbo e la collaborazione di Roberto e Massimo

D’Azeglio, del Gioberti, di Ilarione Petitti, dd Cavour,

di Lnigi Cario Farmi, di Pier Dionigi PineUi, aveva

con

VAntologia Italiana

risuscitato, non a caso, il

nome della soppressa rivista fiorentina, quasi a signi-

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