

UN POETA TORINESE - GIULIO GIANELLI
C ^ w l l u M
p
H
m
( u d n l * d i llrick * CU
m
IU
s m
p a llfraU to • cara ahgll am ici (IM S )
della forma e le incertezze della esecuzione erano
vinte dalla spontaneità della sua tenerezza e forma
vano tutto una cosa con la sua vita vissuta, col suo
discorrere leggiadro e persuasivo, con le sue carezze
verso quanti gli si avvicinavano, come da fratello
a fratello.
La nota prima e fondamentale della sua poesia
d’allora derivava dalla sua orfanezza. Nelle sue parole
spuntava sempre il nome della mamma, ed alla
mamma andavano i suoi sospiri e i suoi richiami.
Ripeteva a tutti, con accoramento, la sua poesia:
E
la meta?
O madre, nutrirla di pianti
la vita; ma in tua compagnia!
Virtù mi sollecita: « Avanti! >
Lo so; ma per chi, madre mia?
Pur l'unico sogno: — un santuario
domestico, mio — s'allontana.
Ahimè! come un’anima vana
vivrò, morirò, solitario!
O madre, fa ’ questa preghiera:
invoca che l’angelo mio
mi chiuda in sue ah una sera,
e a te mi riparti, con Dio.
£ in un’altra piccola lirica, intitolata
Vieni,
breve come un sospiro, densa come un programma
di vita, semplice e commovente:
Madre, se vuoi ch’io viva
senza di te, se brami
ch’io raggiunga una riva
nell’avvenir, se m'ami
ancor, vienimi presso,
chè troppo io m’abbandono,
vieni per dirmi spesso:
— Più soffri e più sei buono. —
L ’intima sofferenza per la mamma morta genera
in lui, quasi ripagamento per il suo cuore assetato,
l ’amore per la campagna, per i monti sui quali da
piccino era andato accompagnato da lei, per gli
spettacoli di natura, albe e tramonti, nei quali pareva
ritrovasse un lavacro di purezza, ma sopra tutto
l’amore per i bambini.
All’ospedale, s’era trovato nel letto accanto al
suo un povero bimbo, orfano come lui, più malato
di lui, ed egli che povero era divise con lui i doni,
lo protesse come fa un fratello maggiore, lo consolò
come fa un padre, lo accompagnò alla morte e lo
pianse con lo strazio che dànno le sciagure irrepa
rabili. Lo circondò anche di poesia e per lui scrisse,
sotto il titolo
Caro agli angeli,
alcune liriche che non
si possono rileggere senza lacrime. L ’ultima è inti
tolata
I l Confine.
Vicino ad un cor che non crede,
più nitido io veggo il confine
che sta. nei miei sogni di fede,
tra il pianto e la felicità.
Già parmi di giungervi: solo,
qual fui nella vita: d ’un nimbo
nsfolgoro: arresta il mio volo,
d ’un tratto, l'abbraccio d ’un bimbo.
Tu. Mario, mio morto fratello
che vivi aspettandomi, e sai
che non ti ricerco all'avello
sebben ne coltivi i rosai,
ma corro con ansietà,
fedele al convegno, tra spine
che bevonmi il sangue, al confine
tra il pianto e la felicità.
È probabile che questo episodio del giovine bimbo
amico mortogli accanto all’ospedale abbia suggerito
al poeta il titolo della prima raccoltina di versi, che
gli amici hanno voluto fare col poligrafo:
E tutti
gli angioli piangeranno.
M m ln I’mIIÌo
dmrm
Uscito dall’ospedale e ripresa la vita di prima,
alternata tra il lavoro e le improvvise fughe verso la
campagna, corroborato di studi sempre maggiori e
più vasti, ma soprattutto sempre più ricco di vita
interiore, due anni dopo si riuscì a far pubblicare
dallo Stregik» il suo («imo volume a stampa. Cento
copie: copertina riprodotta da un bassorilievo di
Sandro Chiapasco; titolo
Mentre l’esilio dura.
Il
volume ebbe la virtù di farsi notare anche fuori della
ristretta cerchia dei conoscenti; ma fu un amico.