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Egli era nell’amore e non c’era colei a cui i segni del

suo amore potessero essere rivolti. Un dolce fanta­

sticare simile a quello del canto leopardiano

Alla

sua donna,

una esigenza del cuore prima che dei

sensi. I sensi non avranno tempo d’impegnarsi,

poiché la carne inferma sarà debellata prima dal

suo spirito pronto. Così com’é, questa testimonianza

che si potrebbe chiamare romantica per darle una

etichetta, ma che ebbe in lui un suo volto inconfon­

dibile, si adorna di una commovente nobiltà, intrec­

ciata sempre al suo ardore religioso ed agli affetti

familiari. Nel volume degli

Ìntimi Vangeli,

essa è con­

sacrata in ima serie di componimenti intitolati

Storia

di un amore.

In

Sorpresi dalla sera

appare un nome,

Maria, come nel Leopardi c’é Silvia e c’è Nerina,

ma la compagnia dei pensieri d’amore e di morte si

svolge con un tono accorato, come una melodia di

dolce e lontano fantasticare.

Strìngiti a me, non abbia il tuo cuore neppure un sussulto.

Rabbrividisci? è nulla, o quasi: un remoto singulto

di rivo sotto gli occhi di gelo: o che al gelo un virgulto

s'infranse. Torniamo, ora: che importa se il di ci abbandoni?

Torniamo con passi fratelli: i tuoi passi son buoni,

non isfioran la terra, non hanno che docili suoni:

non li temono i fiori, l’erbetta li ama, li vuole... O Maria,

che parole di bimbo ti dico! ma abbrevian la via.

Guarda: il sole adescato dai monti, con tatti leggeri

raccoglie i veli ed esula: restano ciechi i sentieri.

Parla anche tu, sorella. Che pensi?... Ah! quella campana

in estasi di pianto! (un'anima che S’allontana).

È bene... ascoltare. Che angoscia nel rotto lamento!

Vuole, forse, sol grido raggiungere, nel firmamento,

l’anima fuggitiva... o, forse, ella piange, ella suona

per dir che la terra saluta, ricorda, perdona.

Sla non pianger tu pure, non piangere, ora; verranno

le lagrime nostre, o sorella, col tempo; e saranno

le benvenute, sai? sicuro: le gemme de l’anno.

Torniamo che fa buio: già strìdono porte e cancelli

chiudendosi a la notte: torniamo con passi fratelli:

giova ascoltar le funebri squille, pensare agli avelli.

N a a k a • tea tro

Non si creda che l’atmosfera di sogno nella quale

si librano i suoi canti arrestasse o ingombrasse in lui

l’agire, chè anzi negli stessi anni che preparava e

pubblicava

Intimi Vangeli,

la sua vita pratica fu

laboriosissima, e d vollero le testimonianze raccolte

da molte parti con l’aiuto degli amia perchè apparisse

nella sua meravigliosa incandescenza: estri impen­

sati, iniziative quasi eroiche, lavori estenuanti, gene­

rosità nello studio e nelle opere, non sempre coordi­

nate ma tutte ammirevoli. A distanza di tempo, c’è

da domandarsi se la giornata per lui avesse più di

ventiquattr’ore. Dava lezioni ora qua ora là, colla-

borava alla «Gazzetta del

Popolo

della Domenica »,

all’c Artista Moderno »dove mercè la calda amiazia

del direttore Rocco Cariucci trovava un celebratole

in Carlo Calcaterra, autore del primo ampio studio

sulla poesia di «Intimi Vangeli»; a « Riviera Ligure »,

al «Momento », con poesie, articoli e novelle; faceva

letture e

conferenze alla • Società

di

Cultura » allora

molto in

fiore;

si

trovava con Antnro Foà, e piò

j

I

zano a parlare di poesia e declamare versi suoi e

d’altri; passava ore di estasi e di esaltazione in casa

Molar, dove il maestro Cesare gli faceva sentire le

musiche nate dai suoi versi.

La voce correva fra gli intenditori che erano

motivi dolci e suadenti, e per quanto qualcuno ne

sollecitasse la stampa, nè il poeta nè il musicista

vollero mai saperne. Qualche aria d era nota perchè

Giulio Gianelli ornai quelle poesie non le diceva più;

le cantava, intonatissimo com'era, parendogli che

soltanto così esse avessero raggiunto la loro ideale

perfezione. Tra quelle dieci e più romanze musicate,

una gli tornava sempre alle labbra, e, sentendola,

gli amia suoi avevano anch'essi l'impressione che le

parole fossero spuntate con quella melodia. È in

Intimi Vangeli,

col titolo

In kora mortis,

e i pensieri

di amore e di morte vi sono intrecciati am la leg­

giadria di un madrigale:

Morir m’è dolce assai

se so ch’ella mi ami

e con ansia mi chiami,

aggi, come non mai.

Dolce morir se Iti

pur lontana mi vede,

e a questi veni miei

ultimi piange e crede.

Più dolce ancora l ’eOa,

che tanto amo, non

m

d’emere amata • beh,

• mai non lo saprà.

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spesso, per la fraternità della sorte, con Guido Goz-