

UN POETA TORINESE
-
GIULIO GlANELL I
ai
GUacUl
(1fC7)
Innamorato della musica come dell’arte più vi
cina al suo spirito, egli confessava di essere debitore,
alla sua consuetudine col maestro, del maggior do
minio acquistato sui ritmi e sulle melodie del verso,
e vagheggiava in modo particolare il libretto d’opera,
Carmela,
che stava scrivendo in collaborazione con
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protagonista e degli
altri personaggi della
vicenda immaginata
e commovente come
di persone conosciute
e
scena del mondo.
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un
W S g m
' procedette fino al ter-
! mine del secondo
! atto; interrotto e ri-
. preso quando il poeta
era lontano, venuta
)
poi la guerra, rimase
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nella pianura fiorita
di asfodeli dove er
ti
p •
! rano i fantasmi dei
” sogni.
Come tutti i sen
timentali, il suo senso
d’osservazione, non
appena uscisse dalle
smarrite regioni della lirica, si colorava di un leggero
pathos drammatico o si spiegava con una ricca sfu
matura di comiche eleganze.
Una vera scena idillica emerge dalla lirica, tutta
torinese di materia e d’ispirazione, che col titolo
Valentino
pubblicò nella «Gazzetta del Popolo della
Domenica »:
O Valentino, se ritorni Maggio
per i meandri tuoi sciama la gente
quasi la tragga floreal messaggio
a respirare più liberamente:
la sera inoltra; splendono i giardini;
io vedo e svedo lucciole e bambini.
Ma dove più s’affoltano i castani
io vedo andare senza far parola,
gonfio il cuor di desio, strette le mani,
due creature con un’ombra sola:
d ’un tratto, fuori di quel verde limbo,
raggiano entrambe nello stesso nimbo.
Come odora la tenebra del Parco
mentre salgon dal Po le cantilene!
Scende la coppia al luogo dell’imbarco,
curvasi un uomo, scioglie le catene,
la barca oscilla.....
Reggi, tu, la prua,
o Amore, e canta che la palma è tua!
Il
senso della battuta appropriata, il garbo della
moralità sfiorata, il gusto signorile del sottinteso, la
capacità di costruire in pochi tratti un quadro sono
doti che appaiono visibili nelle sue favole, fra le quali
è notevole per vivacità ed immediatezza quella
ch'egli intitolò
I I poeta e la chioccia infedele:
Cosa fai su la grondaia?
Non t ’affanna il pigolio
dei pulcini qui ne l’aia?
Vuoi discendere? Ti avvio.
No! ? Anche tu perdi la testa!
Qualche gallo libertino
ha lodato la tua cresta?
T ’invitò nel suo giardino?
Non gli credere. Perversi
sono i suoi chicchiricchì.
Dei tuoi piccoli, dispersi,
neppur uno, oggi, dormì.
Non son essi la tua vita?
Ognun d ’essi ti somiglia.
Torna all’aia custodita
dal buon cane di famiglia...
Tutti t’amano neH’aia,
quando vai tronfia bel bello:
il capoccia, la massaia,
il maestro, anche il monello.
Perchè il libro di lettura
con apposita vignetta
come chioccia ti figura
e non già come civetta.
Troppe mamme cittadine
dei doveri fanno scempio;
siate oneste, voi, galline,
date voi il buono esempio.
Per riceverti con festa,
guarda, io frugo nella tasca,
sbrizzo il pane che mi resta,
è per te quel che ne casca.
Scendi? No? Proprio cosi?
Va! non meriti riguardi.
Va col tuo chicchiricchì.
Tornerai, ma troppo tardi.
L’aa ilM dagli a b b u d o u l l
Con tutta questa attività, egli trovava ancora il
tempo, la sera, la notte, di andare nei luoghi solitari
ed oscuri della città, ai parapetti dei ponti sulla
Dora, ai prati di Valdocco, ai viadotti della linea
ferroviaria oltre la Barriera di Lanzo, al Tiro a
segno, in regione Campidoglio, a cercarvi i bambini
abbandonati.
C’era in lui l ’anima dell’apostolo disinteressato e
saggio, ingenuo e penetrante. La prontezza della sua
intuizione si rivo leva verso la miseria, misteriosa
mente, e ne scopriva gli angoli più oscuri, senza
che la miseria se n’offendesse o ribellasse. Il suo
gesto era una carezza, la sua voce un lamento e una
preghiera. A lui, dicevano tutto.
Aveva trovato uno di quei disgraziati sulla scali
nata della chiesa dei Santi Martiri, dissimulato fra
due scalini d’angolo, abballinato come un fagotto.
Non dormiva e non moveva gli occhi: unico segno
di vita lo sbattere i denti pel freddo e l’arrotare delle
mascelle. Aveva quattordici anni ed era stato dodici
volte incarcerato per vagabondaggio; sapeva che sua
madre era in prigione da sette anni, e del padre
nulla di nulla. Aveva fame, naturalmente, e non
conosceva nessun mestiere: non aveva neanche ten
tato di entrare in una bottega a offrirà come fatto-
T i f ì a t