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UN POETA T01

rino o come apprendista. Ignorava un qualunque

cominciamento di vita diversa da quella che condu­

ceva, e non voleva saperne di chiedere l’elemosina.

Faceva l’unico suo pasto quotidiano alle undici,

alla porta del quartiere di via del Carmine, nella

gamella d’un soldato, fra vecchi storpi e donnacce.

Altri tre li trovò sotto gli archi del Ponte Mosca.

Egli li faceva parlare, vincendone la diffidente

ostilità, poi dava convegno per il giorno dopo e li

accompagnava all’asilo notturno, o in casa propria,

o in casa di conoscenti, o in soffitte di cui pagava

l’affitto; e, dopo aver acquistati dei diritti alla rico­

noscenza di quegl’infelici, offriva d’insegnare loro a

leggere e cercava un’occupazione e andava a trovarli

nella bottega dove li aveva messi a lavorare, facendo

in modo, soprattutto, che non rivedessero più gli

antichi colleghi e non fossero ripresi dal ricordo della

malintesa libertà.

Era evidente come in Torino urgesse, mentre i

comizianti avevano sulle labbra ad ogni istante la

questione sociale, aggiungere un nuovo capitolo alle

benefiche opere del Cottolengo e di Don Bosco, e

Gianelli andò dal magistrato G. C. Pola il quale

aveva fondato allora un «Comitato di Difesa pei

fanciulli » a offrire il proprio aiuto, gettò anzi un

piano d’azione, pubblicò sui giornali un appello, e

cominciò a lavorare. Lo stesso avvocato Pola, che

si era accinto all’impresa con molte speranze, il

giorno che giunse a Torino la notizia della morte

di Gianelli, rievocava con gratitudine la collabora­

zione ricevuta dal giovane poeta, deplorando insieme

amaramente la freddezza e l’ostilità che l’iniziativa

comune aveva in­

contrato.

Al principio del­

l’inverno del 1908,

invitato da Giovanni

Cena, che come tutti

sannosi era trasferito

a Roma, redattore

della «Nuova Anto­

logia*, ancheGianelli

prese la via della Ca­

pitale. Lo attiravano

le seduzioni del cielo

più mite, l'incanto

eterno della città dei

sogni e delle gran­

dezze, il dima storico

vasto; cosicché, par­

tito con l'intenzione

di provare per qual­

che tempo, vi si ra­

dicò.

Naturalmente, Giovanni Cena, che k> aveva ac­

colto con tutta la effusione dd suo grande cuore,

lo arrotò subito fra quelli dìe fu ra chiamati i

garibaldini dell’Agro Romano, e lo coodusse tutte

le domeniche a quell'opera santa di redenzione degli

uomini schiavi della malaria e della inciviltà, in

quei luoghi tristi che oggi il Governo Fascista con

imo degli atti più gloriosi che la storia ricordi ha

redento in pieno con quegli effetti meravigliosi che

sono cari al cuore del Duce e che formano l’ammira­

zione di tutto il mondo.

Allora non era cosi. Bisognava alzarsi la mattina

prestissimo, fare un’ora e mezzo di treno, scendere

ad una stazioncella e a piedi inoltrarsi fra i villaggi

di capanne e le mandre di agnelli a radunarvi quelle

altre misere mandre umane, analfabete ma intelli­

gentissime, per dir loro una panda d’incoraggia­

mento e per insegnare i primi rudimenti dd leggere

e dello scrivere.

A Roma, sera incontrato con Sergio Corazzini,

morto di B a poco; col pittore Felice Carena, die

dava già di sè e della sua arte nobilissima quelle

testimonianze che dovevano poi portarlo all’ambito

seggio dell’Accademia d’Italia; con lo scultore At­

tilio Sdva, anche lui oggi Accademico d’Italia, e

che aveva conosduto a Torino; 9 con Gian Bistolfi,

il figlio di qud Leonardo,, ver» il quale negli anni

della vita torinese era stato attratto e da cui aveva

ricevuto nobili segni di affetto. Una delle prime

poesie di Gianelli aveva cantato

3

bassorilievo birtd -

fiano dd

Dolor» confortalo éUUe

:

e sull’altra

statua deQa

BdUxxmidU Morte

aveva intrecciato

un

doloroso commento che era nello sterno tempo cete-

brazioae dell’artista ammirato e ronfciMfcni rlniftf

dd suo

spirito

avviluppato ad bnd

insidiosi del­

l'angelo delle tombe.

1=1

il