

UN POETA TORINESE - GIULIO GlANELL I
Giuseppe Bevione, oggi senatore del Regno, ed allora,
nella operosa vigilia della sua carriera di giornalista e
di uomo politico, cultore finissimo della letteratura,
che dettò per lui il primo articolo sul quale la fama
di Giulio Gianelli si apprestava a fondarsi con sicu
rezza. Le pagine di Giuseppe Bevione, pubblicate
nel «Campo » (24-X1I-I905), erano insieme imo
studio critico chiaroveggente e persuasivo ed una
simpatica ed affettuosa presentazione del poeta.
Quelli che d'ora innanzi vorranno studiare la poesia
di Giulio Gianelli e ripercorrerne la fortuna conside
reranno lo scritto del Bevione come fondamentale.
«Esiste un giovane — così egli cominciava il suo
studio — che ha ancora nelle pupille tanta freschezza
da poter contemplare un’alba, e trasalire davanti ad
un miracolo: che conserva nel suo spirito tanta virtù
di umiltà e tanta potenza di adorazione, da sentirsi
piegare le ginocchia e bagnare gli occhi di pianto,
trovandosi solo, a errare per la campagna, nel si
lenzio di una notte estiva; che possiede una così
angelica bontà, da aver sofferto e soffrir molto per
colpa degli uomini, e pure non odiarli ma benedirli,
e tale forma d’amore da sentire, passando accanto
alle creature che penano, la necessità prepotente di
soffermarsi a confortarle e chiamarle sorelle; che
reca finalmente in sè così grandi tesori di sincerità,
da indursi qualche volta, quando il cuore glielo
grida, a far versi di un suo sogno e di un suo rim
pianto, ma con parole oneste, misurate esattamente
sul sentimento interiore, senza esagerare mai, senza
desiderare mai di mostrarsi da più di quel che è,
senza mai sforzarsi di piacere al pubblico, con una
semplicità pura ed affettuosa, che stupisce e com
move.
«Tutto ciò sembra appena credibile in questi
nostri giorni. Ma più incredibile è che questa rara
tempra di poeta abbia licenziato al pubblico da oltre
un anno un volumetto di liriche, tutto ori e gemme,
odoroso di freschezza e di sincerità da cima a fondo,
riempito di gemiti, di gridi, di lacrime, verace espres
sione di un cuore che ha la dolorosa prerogativa di
saper contemplare e soffrire, e che nessuno se ne
sia accorto; die la critica, che si occupa in Italia
di tante insipide gelatine di sillabe, non
abbia
degnato
di uno sguardo l’umile e prezioso libro,
e
che il pub
blico sia passato oltre, senza
badare
al povero poeta
oscuro, die gli tendeva in ano stando d ’amore
la
sua anima innocente e appassionata.
«Si chiama Giulio Gianelli. Ha 23 o 24 anni,
ma conserva il volto di un fanciullo. La sua vita
fu un calvario».
E dopo aver accennato a qualche episodio della
vita dolorosa di Ini («destino che fa rabbrividire »),
riferiva da una lettera queste candide confessioni
autobiografiche:
« Inebriato di libertà, fui vagabondo per un paio
d’anni. Correvo il Piemonte a piedi m ogni stagione,
cantando i versi (a voce bassa, quando incontravo i
reali carabinieri), seriamente e devotamente ascoltato
dagli alberi fraterni, dalle praterie pensose, dai cimi
teri sperduti e soli. Fra me e la natura c’era uno
scambio di poemi Dormivo nd boschi. Mi cibai
spesso di nocciole selvatiche, e una volta mi appagai
di sole foglie. Erano buone. Io serbo gratitudine a
quella pianta, che già sprovvista di fratto mi aiutò
senza umiliarmi. Poi mutarono i tempi: bisognò
scegliere: la campagna o la città. Scelsi questa, e
fui a volta a volta pedagogo, scrìvano, segretario e
mezzo avvocato. On insegno greco, Lamo e lette
ratura».
Tre anni dopo, Giulio Gianeffi, il qoakintanto
era entralo m manoni a aiwituoia annona con
Giovanni Cena,
pubblicò
in
an maggior rumerò
di
copie,
in veste
decorosa
e
per invito dello sterno
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