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UN POETA TORINESE - GIULIO G IANELLI

Deh se immatura tieni, oggi, la mia partita;

ch’io, goda, essendo in vita, dei tuoi baci sereni.

Oh me caro alla sorte! Oh me trionfatore!

Vivere e con la morte scambiar baci d ’amore.

Angela degli avelli, vieni a baciarmi in volto,

10 ti darò gli anelli che ad altra mano ho tolto.

T ’offro la vita e il canto, o morte, idolo mio;

vieni! Chi t'ama tanto non accasciar d ’oblio.

11 giorno che si muore prelude al nostro idillio:

diletta, al breve esilio, ti persuada amore.

Padre putativo

C’era stato, nella vita di Gianelli, il desiderio

costante di un figlio, anzi il desiderio si traduceva

spesso in una esaltata passione la quale poteva sem­

brare strana, dato che i mezzi normali per appagarla

apparivano sempre

più d is tan ti dalle

sue possibilità e ri­

fiutati dal suo abito

spirituale, ma che

non era sterile, se

ogni giorno nel com­

pimento dei suoi do­

veri e all’infuori di

essi egli già la tra­

duceva in una inef­

fabile realtà, e ap­

pariva così nel suo

anelito una sempre

più delicata e com­

movente poesia. I

bimbi degli amici

gli erano sacri e ve­

nivano da lui festeg­

giati ad ogni incontro come un miracolo nuovo; se

appena uno glie ne apparisse e gli corresse incontro

e gli tendesse le mani e lo carezzasse, egli si trasfigu­

rava nella felicità; la sua letizia maggiore più disin­

teressata, quasi alata, egli la provava al Pincio fra

le schiere dei fanciulli in gioco.

Scoppiato, nel dicembre di quello stesso anno 1908,

il terremoto di Messina e delle Calabrie, Gianelli vi

accorse fra i soccorritori fin dal primo giorno. Non

aveva nulla da portare, all’infuori della sua opera,

all’infuori della sua obbedienza disciplinata, all’in­

fuori del suo sorriso cordiale e animatore. Non sap­

piamo di preciso quello che egli abbia fatto in quelle

giornate, ma se gli episodi intermedi ci sono ignorati,

la conclusione fu se non inattesa certo eccezionale e

coerente alle sue aspettazioni intime.

Trovò due ragazzi, abbandonati, sdi, se li prese,

se li vestì, e se li portò a Roma. Era diventato padre.

Lo annunciò pieno di beatitudine agli amici vicini

e lontani. Le campane di una Pasqua nuova risona­

vano attorno a lui, i fiori di una primavera gaudiosa

fiorivano sul suo cammino. A Roma li alloggiò nella

Il fratello

41 C ian cili

sua cameretta, ne cercò un’altra più grande perchè

stessero meglio, e con rinnovato fervore cercò e trovò

altro lavoro perchè i bambini non avessero a mancare

di nulla. Era apparso lo scopo concreto del vivere.

Poco tempo dopo, risultò agli uffizi che la madre,

colpita da uno choc nervoso e dispersa in uno degli

ospedali improvvisati sulla tragica spiaggia, aveva

ripreso conoscenza e reclamava le sue creature. La

notizia non interruppe la sua paterna opera. Per lui,

per il suo cuore anelante, i due bambini erano proprio

i suoi figli. Con l’aiuto di Padre Genocchi, poi di

Padre Luigi Pietrobono, li potè collocare in collegio

perchè continuassero gli studi e durante l’estate se

li prendeva e se li

portava unavolta in

Piemonte, un’altra

volta al mare, felice

soltanto della loro

compagnia, da essi

ispirato alle opere

nuove d’arte, da essi

incoraggiato a un

sempre maggior fer­

vore di opere. Risale

a uno di quei pe­

riodi estivi il suo

romanzo per bam­

bini, intitolato

P i­

pino, nato vecchio e

morto bambino,

che

di giorno inventava

ai ragazzi per di­

vertirli e, la sera,

quando li aveva

messi a letto e ben

rincalzati come fa

una madre amorosa, stendeva poi in nitidi foglietti

e mandava al giornale di Torino « L ’Adolescenza »,

dove veniva pubblicato a puntate.

Quando doveva distaccarsi da Ugo e Mario —

erano i nomi dei due ragazzi — non passava giorno

che non andasse in collegio per trovarli e i due amici

che allora gli erano più vicini, vicini di cuore come di

consuetudine di vita, amici fin da Torino e, dopo

di lui, andati a Roma, Raimondo Canavasso e Ric­

cardo Artuffo, conservano i più gentili ricordi e i

più commoventi episodi di quella paternità putativa

che abbellì la vita del poeta negli ultimi anni e la

circondò di un’aureola.

Gli ultimi anni! Dal

1910

al

1914,

la vita di

Gianelli prese un ritmo eroico, e nell’intensificarsi

della sua tenerezza e nel travaglio sempre più ane­

lante e raffinato della sua arte.

Oltre il lavoro usato, continuava da lontano la

collaborazione al «Momento » di Torino, un’altra ne

iniziava al • Corriere » di Roma, frequentava la

«Biblioteca femminile »di piazza Nicosia, regno della

signorina Lemaire, uno dei maggiori centri intellet­

tuali di Roma di quel tempo, dove egli fece confe­

renze e letture, e dove conobbe, presentatagli dalla

n

priato critico di Giallo Giaaetil

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