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UN POETA TORINESE

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GIULIO GlANELLI

La morie

Sulla fine del 1913, risorse con fieri attacchi

l ’antico male. Curarsi era un problema insolubile.

«Sto sempre in pericolo di peggioramento — scri­

veva ad Artuffo — e temo mi portino all’ospedale.

Sarebbe una rovina. Ad ogni modo sto sulla breccia

fino all’ultimo, che con la mia cera rosea nessuno

se ne avvede e pochi ci credono ».

Gli amici, invece, pur troppo sapevano, ed egli

dovette cedere ed essere trasportato una prima volta

all'Ospedale della Consolazione, da cui uscì alla fine

del marzo del 1914.

Tra le carte inedite, conservate ora religiosamente

da Raimondo Canavasso, vi è un componimento di

quei giorni Non poteva più lavorare. Andava al col­

legio a trovare i suoi bambini, poi saliva al Pincio

in ima passeggiata lenta e stanca. Primavera d ’in­

torno annunziava la sua venuta, e quasi egli non

se n’era accorto. Apriva gli occhi alla bella natura

per attingervi, dopo aver fatto ogni sforzo per non

illudersi, l’ultima illusione. Pochi versi: s’intitolano

Convalescenza:

Primavera imminente, ancor velata,

t'offro in cura la mia convalescenza.

Mi sento chiuso come i fiori in boccia

che domani apriranno le corolle:

spero nel sole anch'io come le aiuole.

Ma sono triste e la mattina è triste.

Perchè?.....

Che vedo! al tronco d'una palma

uno stormo di rose rampicanti

splendono, aperte già, come fiammelle

color di sangue! Ed io credevo assente

la primavera! la credevo ancora

timida sulle soglie! Invece brilla

e tutti i fiori sono già sbocciati:

da certi alberi piovono ghirlande

che il vento sparge sul terreno, tanto

i rami sono carichi di fiori!

Io m’ingannavo dunque! È, forse, tardi.

Fra tanta vita che rinacque io sono

l’unico ramo a cui ritarda il fiore.....

Ben m’ingannavo! Primavera entrò

durante il mio soggiorno all'ospedale,

onde non vidi questa rinascenza.....

Perciò son triste, e la mattina è triste.

O vita floreale,

se non è troppo tardi,

guida in porto la mia convalescenza.

La poesia porta una data: «Pincio di Roma, il

mattino del 28 aprile 1914 ».

Ai primi di maggio, una nuova ricaduta: radio­

scopia, ancora all’ospedale prima in corsia poi in

una camera, quindi l’operazione che rivelò l’impossi­

bilità di guarire, e la caduta di ogni speranza.

Ai primi di giugno, c’è una lettera di Raimondo

Canavasso ad Artuffo che è un grido disperato di

allarme: «Gianelli muore. È questione di giorni,

morrà di sfinimento, perchè non può nutrirsi».

In pochi giorni si spense.

Al letto di morte c ’erano Padre Genocchi, Felice

Carena, Gian Bistolfi, Carmelo Caristia, Raimondo,

la signorina Lemaire.

Alla porta dell’ospedale, Eleonora Duse che aveva

accompagnato la Lemaire. Avvertita, salì con un

gran mazzo di fiori di campo, azzurri. Furono i

primi che lo copersero davvero, come egli si era

augurato.

Lo scultore Attilio Selva volle fargli la maschera,

dalla quale trasse poi un gesso che quandocchessia

potrà essere formato in bronzo e collocato sulla sua

tomba a Campo Verano, sul lòculo che la pietà

degli amici gli assicurò.

Era il 28 giugno. L ’indomani, i giornali recavano,

con la notizia della sua dipartita, la notizia dell’as­

sassinio di Serajevo.

Giovanni Cena dettò per la tomba la seguente

epigrafe:

GIULIO GIANELLI

ORFANO

EBBE FRATELLI TUTTI GLI UOMINI

COMPAGNE POVERTÀ E POESIA

VASTA ANIMA UMANA

IN CORPO DI FANCIULLO

SI FRANSE PER PIENEZZA D’ARDORE

COLORO CHE LO CONOBBERO

SI SENTIRONO MIGLIORI

GLI APPRESTARONO ALCUNI AMICI

IL LETTO DELLA BREVE AGONIA

IL LETTO DEL SUPREMO RIPOSO

• • *

Gli amici del poeta, preoccupati che tanto tesoro

di poesia non andasse perduto, datisi l’intesa, hanno

raccolto dagli opuscoli, dalle riviste, dai giornali, dalle

carte inedite il meglio dell'opera sua e ne hanno

curato la stampa in un volume (1) che è riuscito

un gioiello dell’arte tipografica. In tal modo essi

hanno voluto da una parte rendere testimonianza a

un nobile cuore che fu anche un alto spirito, e,

dall’altra, assicurare a Torino la conservazione di una

gloria, che, se non ebbe per un’infinità di circostanze

l’eco larghissima di cui era degno, fu spontanea,

lucente di virtù propria, inconfondibile.

(1)

Giulio Gùnutti.

Poesie, con la vita del poeta. Con

una xilografia di Domenico Baratti e quattro illustrazioni.

(Torino, Soc. Editrice Internationale. L. 12).

ONORATO CASTELLINO