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UNA GRANDE A T TR ICE D IMENTICATA - CARLOTTA MARCHIONNI

casse con uguale misura ed uguale grandezza, tanto

nel genere drammatico, come in quello comico.

Oggi Mirra cupa, chiusa nel suo terribile mistero,

ossessionata dall’amore incestuoso, presa nel gorgo

di una passione fatale; domani Pamela nubile, tutta

grazia e soavità, tutta civetteria e astuzia.

Aveva una voce incantevole e il non comune

pregio di una dizione quasi perfetta.

La voce era duttile e si piegava a tutte le esigenze

ed a tutti i moti dell’anima senza sforzo, con trapassi

repentini; ma così mirabili, da rapire lo spettatore

che l’ascoltava. Nelle tragedie appariva maestosa­

mente bella e assumeva in certi istanti atteggiamenti

plastici ricchi di nobiltà e d’imponenza, mentre nelle

commedie semplici di Francesco Augusto Bon, era

un portento di casalinga semplicità e, mite nel gesto

e negli accenti, prestava ai suoi personaggi la fre­

schezza e l’infantilità, quando occorreva, di cui

l ’anima era inscientemente ancora imbevuta.

Angelo Brofferio che ammirava le qualità della

somma artista si era a lei legato con soave amicizia

ed ella rappresentò di lui parecchie commedie:

Mio

cugino-, Curioso e la gelosa

; e il

Vampiro,

portandole

ad un successo che forse neanche l’autore si sarebbe

immaginato, tanto

è

vero che Brofferio è passato ai

posteri come autore delle celebri poesie piemontesi

e dei

Miei Tempi,

e non come artefice di commedie,

relegate ormai nelle biblioteche senza speranza di

risurrezione.

Gli uomini più illustri del suo tempo tennero in

grande pregio la sua amicizia, e in suo onore si ten­

nero accademie, ricevimenti, riunioni intellettuali.

Ma il tributo più affettuoso e più regale, è la

vera parola, Carlotta lo ebbe da Siena in occasione

della rappresentazione della tragedia di Carlo Ma-

renco:

Pia de’ Tolomei.

Il Municipio di Siena diede

in suo onore un ricevimento a cui assistevano tutte

le autorità, e un’accolta di elette dame e di cavalieri,

vestiti in fastosi costumi del 500 che, unitamente

agli attori che avevano recitato, formarono un corteo,

celebrando con una solennità medioevale l’avveni­

mento teatrale; cosa che negli annali e nella storia

del teatro non m’è dato di rinvenire che si fosse

mai fatta.

Allorquando lasciò per sempre la scena, i Torinesi,

per la sua recita d ’addio, le fecero dimostrazioni di

cui non è morto il ricordo, tale è stato l’entusiasmo

indescrivibile e il fanatismo del pubblico accorso in

massa al D’Angennes. Per la circostanza si stampò

in volume tutte le poesie che ammiratori, scrittori

e poeti avevano dedicate a lei, vennero distribuite

magnifiche litografie in cui era ritratta e l'Accademia

Filodrammatica donò agli spettatori copia litogra­

fata del busto eretto in quei giorni dal Bogliani nel

vestibolo del teatro.

Da quel momento s’iniziò per lei un’altra vita:

la vita della gentildonna caritatevole, buona, tutta

pietà per chi soffriva, tutta tenerezza per chi in lei

confidava.

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Compagna le fu, fino all’ultimo giorno della sua

vita, Teresa Bartolozzi, sua cugina, che però tutti

chiamavano Teresa Marchionni e nell’intimità sem­

plicemente Gegia. Era stata la fiamma di Silvio

Pellico, la donna che egli aveva amata e aveva

deciso di sposare; ma la vita irrideva al povero Silvio

e, quando ritornò a Torino, dopo la dura prova dello

Spielberg, era così affranto moralmente e fisicamente

che più non si sentiva di mantenere la dolce promessa

fatta alla sua Gegia e si limitò ad offrirle per tutta

la vita la sua pura e devota amicizia. La casa ospi­

tale della Marchesa Barolo accolse la melanconia

del povero Silvio e colla Teresa, che ormai aveva

rinunciato al suo sogno, si rividero molto raramente.

La Teresa si consacrò completamente alla sua ado­

rata Carlotta che nel febbraio del 1861 chiudeva

per sempre i suoi grandi luminosi occhi.

Quando in Torino si diffuse la notizia che il più

fulgido astro teatrale dell’800 si era per sempre

spento, un’impressione di dolore e di profondo rim­

pianto si diffuse ovunque; dalle case patrizie alle

case più umili.

Pareva un sogno, pareva un’allucinazione! Morta

lei, la Marchionni, la grande artista, signora nell’arte

e signora nella realtà della vita! E tutti rammenta­

vano le sue più grandi interpretazioni e i poveri in

modo speciale il suo spirito di carità e la sua bontà

infinita. La Gegia, che era molto più vecchia di lei,

ne rimase profondamente colpita; ma adempì al

suo dovere di pietà e d ’amore sino all’ultimo e non

diede sfogo all’immenso cordoglio che l’aveva acca­

sciata, sino a quando non l’ebbe collocata accanto

alla madre nell’arca funebre, e, adempiendo al desi­

derio della grande artista, non ebbe aggiunto a

quello della adorata Elisabetta Marchionni, il nome

di Carlotta.

Carlotta Marchionni e niente più! Per la sua

gloria, per quanti l’avevano ammirata, amata, tutto

diceva quel nome.

Nei primi dieci anni, il funebre monumento fu

mèta di pietose visite ed ebbe omaggi commossi e

riverenti; ma poi a poco a poco, nei tempi travol­

genti, nell’atmosfera arroventata del 59, il ricordo

s’affievolì; sparirono dalla scena della vita quelli

che l’avevano conosciuta; altre attrici vennero; pei

teatri corse un fremito che preludiava alle battaglie

dell’indipendenza d ’Italia e la Marchionni cominciò

ad essere meno ricordata. Scarseggiarono sulla asu

tomba gli omaggi di corone e di fiori, e la sua me*

moria svanì a poco a poco, lasciando un’eco che andò

sempre più affievolendosi ed ora da una trentina

d’anni si è spento affatto.

*

La tomba di Silvio Pellico è a pochi passi e le

spoglie di attori e attrici che le furono cari, la cir­

condano, direi che ancora si stringono intorno a lei,

nel più antico campo della necropoli torinese,

a