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IL CINQUANTENARIO DEL TEMPIO ISRAEL IT ICO D I

che a metà nel 1877, ed in fine gli ultimi disegni del

professore Antonelli avendo ampliato di molto e

radicalmente mutato il primitivo, per esser salito a

grandezze inadeguate alla possibilità ed alle necessità

della Comunità, non poteva più servire all’uso di

Tempio.

Riducendo le parole in cifre: per un progetto di

edificio che non oltrepassasse il costo di L. 250.000,

e concordato in L. 280.000, se ne erano richieste

altre L. 412.000: e colla spesa di L. 692.000 si era

nel 1876 appena a metà dove le pareti del salone si

riuniscono in una snella strozzatura circolare e cioè

all'altezza di circa 75 metri.

A finirlo esternamente per difenderlo dalle intem­

perie e internamente per completarne l’esecuzione

sarebbero occorse almeno altre L. 550.000.

L ’Università Israelitica che, per il numero dei

fedeli — poco più di 2000 — aveva già fatto sacrifici

insuperabili, liquidando anche capitali di lasciti spe­

ciali di culto, e fondendo pure pregevolissimi arredi

sacri in metalli preziosi, non essendo più in grado di

fare ulteriori spese, aveva deliberato di ridurre a più

modeste proporzioni l’edificio, e per ciò aveva pre­

sentato al Municipio un ap|*osito progetto per la

relativa approvazione in via edilizia.

Contemporaneamente un Comitato composto di

distinti personaggi si propose di ottenere conservato

per lustro e decoro della Città l’edificio considerato

universalmente come una delle più ardite manifesta­

zioni dell’arte architettonica; e, mentre da un lato

faceva uffici presso il Consiglio d ’Amministrazione

dell’Università Israelitica onde indurlo a cedere

l’edificio al Comune, dall’altro promosse una sotto-

scrizione fra i cittadini per chiedere al Municipio di

deliberarne l’acquisto, sottoscrizione che in pochi

giorni raggiunse oltre 8000 firme.

Il Consiglio dell’Università Israelitica accedette

all’offerta di cessione del Tempio al Municipio,

affinchè lo terminasse conforme a ll’ultimo disegno

del professore Antonelli, con destinazione perpetua

ad uso pubblico e civile, mediante il corrispettivo

di L. 150.000.

Se la somma richiesta non poteva a meno di

essere ritenuta assai moderata, fece sorgere invece

questione la clausola della destinazione: l’Università

vi insistette per una ragione morale, specialmente

perchè gli Israeliti di Torino, che con grandissimo

dispendio avevano condotto l’edificio al punto in

cui si trovava, potessero coi loro concittadini conve­

nirvi nei comuni intenti, sia del culto del bello e

del sapere, sia dei servizi municipali.

Dopo lunghe discussioni l’accordo fu fatto: era

Sindaco il conte Rignon.

Intanto era avvenuto lo sventramento dd Ghetto,

dove trovavansi due dd tre Templi della Comunità:

di rito italiano l’uno, spagnuolo l’altro. Il principale

era quello di rito italiano o romano, introdotto dai

primi nuctei ebraid che vennero a stanziarsi in Torino

nei primordi dd sec. XV (era in ultimo nd cortile

dd Ghetto di Via S. Francesco da Paola, detto Corte

Parto j t t o l p r f » M T m p l* li

Grande): il rito riproduceva quello che la Comunità

di Roma fondatasi ai tempi di Cesare erasi venuto

conformando nei primi secoli dell’èra volgare. Questo

differenziavasi dagli altri due (il terzo era di rito

tedesco) specialmente per la liturgia, svoltasi a se­

conda delle caratteristiche condizioni locali. Dopo la

cacciata degli Ebrei dalla Spagna, nel sec. XV I,

nuclei di questi si erano aggiunti conservando gli usi

liturgia che formavano il rito spagnuolo, ed U loro

Tempio era anche nel Ghetto (nd cortile piccolo).

Il Tempio di rito tedesco era già stato aperto fuori

del Ghetto (era nella casa Ricardi di Netro, in via

del Moro, ora via Des Ambrois), ma era il più recente

perchè promosso da nudd della Comunità di Cuorgnè,

che, per lo scioglimento di essa nel 1728, s’erano

stabiliti nella capitale a norma delle disposizioni

del Re Vittorio Amedeo II.

Mentre ancora si cercava una soluzione dica l’edi­

ficio dell’AntoneUi, già il piccone demoliva l’isolato

tra via S. Francesco da Paola e via S. Filippo (ora

via Maria Vittoria), ove sorgeva il Ghetto; fu ne­

cessario trovare un locale provvisorio ad uso Tempio,

e fu scelto in via della Salera (ora via Bonafoos);

da questo momento la Comunità d^ Torino, rinun­

ciando ai riti minori, conservò soltanto quello mag­

giore e doè l’italiano.

Artìsticamente parlando i tre Templi annullati

non presentavano nulla di caratteristico,

ben

diver­

samente da altri piemontesi (ad es. di

Casale e Car­

magnola) e da altri italiani

(Venezia, Livorno, Fer­

rara), gioielli d’architettura e

di scultura.