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IERI E OGGI

più solo per la passeggiata durante le giornate pio­

vose o ventose (non essendo interrotti, come quelli

di destra, da vie trasverse), ma per gli acquisti di

numerosi oggetti utili al vivere civile, mentre il

palazzo universitario divenne decorosamente sgombro

da ogni commercio e realmente occupato dai suoi

veri abitatori, gli studenti.

• • •

E parliamo, anche un po’, di questi.

Erano, non meno d’oggi, numerosi, ma apparte­

nenti a provincie anche non Piemontesi, poiché mol­

tissimi provenivano dalla Liguria e dalla Lombardia,

attratti dalla rinomanza di cui l’Università di Torino

giustamente godeva, per merito di illustri Maestri e

per ricchezza di mezzi didattici.

Il vivere d ’allora, del resto, era sì poco costoso

che le famiglie non dovevano fare grandi sacrifici

per avviare i propri figli al raggiungimento di una

laurea.

Camera:

da 12 a 18, 20, 22 lire mensili.

Mangiare:

due pasti il giorno, pel prezzo di 30,

40, 50, 60 lire mensili: per la colazione, il famoso

«bicierin » consistente in una tazza di caffè, latte e

cioccolatte, con un panino, il tutto per quattro

soldi.

Vestire:

un abito di panno, da 60 a 80 lire.

Cappello

alla « Lobbia » (L. 5), dal nome del

deputato che provocò il famoso processo per la

«Regia dei tabacchi >(1).

Fumare:

tabacco «da tre » in pipa di gesso da

(1) Una canzone popolare del tempo diceva:

A la lobbia van le fie,

A la lobbia van i fieni:

Tuli a din ondi a la lobbia,

A la lobbia ’n tei capei...

un soldo: oppure sigari «Cavour » o « Sella » da un

soldo: sigarette, niente.

Giornali:

un soldo; ma non tutti gli studenti li

comperavano, potendo leggerli, nel caffè, se vi si

recavano a berne una tazza (tre soldi).

Teatri:

teatro favorito degli studenti, lo scom­

parso «Gerbino »: ingresso, otto soldi.

Carnovale:

donnette che, sotto i portici, vende­

vano i biglietti d’ingresso esclamando: « a le Scribi,

al Kasional, biet del bai! »: una lira.

• * *

Chiudo con un episodietto che si raccontava av­

venuto nell’Università molti anni addietro, quando

ancora i laureandi dovevano illustrare la tesi in

latino e in latino la discutevano coi professori della

materia.

Era consuetudine che lo studente indossasse una

vestaglia nera, come la indossavano i professori, che

gli veniva fornita dal bidello, nelle cui mani lo stu­

dente, a laurea ottenuta, deponeva una moneta di

qualche valore.

Così vestito il bidello presentava il laureando al

Collegio dei professori, con un breve discorso latino,

laudativo, in rapporto (si diceva) al valore della

moneta ricevuta.

Un giorno si presentò un laureando, a cui il bi­

dello fornì la vestaglia, senza che quello gli desse la

consueta monete; segnalandolo ai professore

i-

dello pronunciò queste parole:

«

Trado vobis juvencm, ncque probum, ncque im-

probum; quidquid sii videbitis infra!

».

Lo studente ricevette la laurea, spogliò la vestaglia

e consegnò al bidello una monetina con queste pa­

role:

«

Trado tibi monetam, ncque auream, ncque ar-

genteam: quidquid sii vidcbis infra!

».

FRANCESCO ABBA