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T

pena la cantante si presentò per eseguirlo,

si udì una grossolana salve di fischi, che

colpì dolorosamente colei, alla quale era di­

retta. Svenne, non potè più cantare e la pro­

messa riconferma sfumò (157).

Che il pubblico torinese si dimostrasse in

auel tempo molto filantropo, non si potreb­

be proprio affermare. Per lenire alla miseria

pubblica, accresciuta dai rigori della stagio­

ne era stata indetta una rappresentazione di

beneficenza nel gennaio. L ’incasso di essa

non ascese a novecento lire, così sole ottan-

tacinque famiglie poterono essere soccorse.

11 teatro delle Arti rimase chiuso dalla

primavera sino al carnovale dell’anno suc­

cessivo 1805 e non si aprì che per due serate

straordinarie in onore del principe Luigi,

conestabile di Francia. Nella prima venne

eseguita la cantata-prologo la

Virtù coro­

nata

di Vincenzo Marenco, musicata da Ber­

nardino Ottani, eseguita da tre solisti ap­

partenenti alla Compagnia d’opera comica

del teatro Carignano. Presero parte al con­

certo anche Giovanni Battista Borra, savi-

glianese, violinista, allievo del Pugnani, e

la signorina Germano, pure violinista (1 58).

Questa serata ebbe luogo il ventiquattro

agosto. La seconda, che fu il dieci di settem­

bre, si ridusse a una festa da ballo d’invito.

Il palcoscenico era ornato con templi, fon­

tane, laghetti, e con un grande trasparente

di tela cerata, sul quale erano dipinte le tre

Grazie. Le spese dell’addobbo costarono

quattromila duecento lire.

Con delicato pensiero gli impresari vol­

lero fare omaggio alla memoria di Giuseppe

Haydn, morto poco innanzi, inaugurando

la stagione di carnovale del 1804-5 co llM r-

mida,

melodramma dell’illustre Maestro,

posta in scena sfarzosamente, per quanto ri­

guardava specialmente le scene dei Sevesi e

Vacca. La musica piacque, ma fu trovata

troppo dotta. Seguì la

Sofonisba

del Fede­

rici, di cui non abbiamo certe notizie.

In questo frattempo il teatro fu ribattez­

zato una terza volta e venne detto

Imperiale.

Nella primavera in occasione della venuta

dell’ Imperatore, il teatro si riaprì per un

breve corso di rappresentazioni date col

Ma-

tridate,

melodramma di Antonio Sograffi,

musicato da Sebastiano Nasolini.

Sulle due stagioni datesi negli anni 1805-

1806 e 1806-1807, nelle quali furono rap­

presentate il

Corrado

, melodramma estratto

dal dramma omonimo del Conte Francesco

Ottavio Magnocavallo di Varengo, casalese,

posto in musica da Ferdinando Orland, e il

Coriolano,

lavoro scritto da penna torinese,

e dal maestro Vincenzo Lavigna. che contò

fr? i suoi discepoli Giuseppe Verdi, l ’O-

limpiade

del Metastasio e del Cimarosa, e

1

Hoango

del Gian Domenico Boggio e del

Lavigna stesso, pochissimo abbiamo a dire.

Appena ci sia dato di ricordare le deplora­

zioni, che suscitò il musico Testori, pel mo­

do bislacco, col quale cantò con varianti di

poco buon gusto 1

Olimpiade

del Cimarosa

e il trionfo completo delle opere del Lavi­

gna (159). Di tanto in tanto poi il cronista

(157) La dimostrazione ostile provocò una reazione Hi

protesta. Dopo lo spettacolo fu inviata alla signora Her-

rini una corona, alla quale era stato unito un nastro, che

recava questa iscrizione:

S i Midas le lapide, A pollon le cou ronn e.

Il Giornale applaudì al concetto e sentenziò, che la

poesie éla il autti ingénieusc qu e vraic

Sia pure. E ' forza

convenire però, che la forma era alquanto esagerata. La

prima parte era un po’ severa, la seconda un po' troppo

iperbolica.

(158) Il solito giornale ci fa sapere, che • on

a adm irc

le lalcnl d e M Borra dans

un

concert d e ciolon ; sa nècc,

M adim cisclle G ermano, a sur le m im e instrumenl charm e

ics am aleu rs par la lé g è n lé et la (in cise de son jeu

».

(159) I balli del coreografo Giannini furono censurati un

po aspramente dal solito critico. Nel primo l'azione ap­

parve slegata, fiacca, mal condotta : si appuntò ancora,

che I autore non avesse badato a dare un occhiata alla

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orneille, dal quale aveva tolto l'argomento.

Nel secondo, oltre ad altri difetti, si biasimarono due gri-

vissiml errori, l'uno etnografico, l'altro storico. Nella

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gn a liberala

non >i assisteva già alla cacciata dei Mori,

come voleva certamente l'autore, ma dei Saraceni. Ciò

rappresentava lina certa differenza. In secondo luogo era

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