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Il problema dello spopolamento nelle montagne piemontesi

Storicamente. connesso al problema dell'emigra­

zione di cui avremo ocra-ione di parlare, è quello

non meno rile\ante dello spopolamento montano,

sia per emigrazione all'esterno — o permanente o

transitoria, questa più rilevante di quella —, sia

per la discesa al piano, nelle città e nei centri indu­

striali

Più gra\e apparve rullilo lo spopolamento delle

Alpi piemontesi delle quali non Insogna dimenti­

care la peculiare conformazione geografico-econo-

mica. Le Alpi che circondano Torino volgono il

versante più ripido verso la zona piana piemontese,

con svantaggio della vita economica pastorale, cau­

sa la rapidità e brevità delle alte valli e per la man­

canza di una zona interna prealpina. Ma la situa­

zione è ancora aggravata dalle scarse precipitazioni

che si ripercuotono sui magri pascoli alpini (alta

\alle d'Aosta). Anche la Val di Susa e della Stura

ri trova in una situazione similare. V

ii

genere si ri­

leva che la scarsità delle precipitazioni per le re­

gioni alpine piemontesi coincide con il periodo ve­

getativo dei pascoli, i quali restano quindi depau­

perati nei confronti di quelli del versante francese.

Non stupisce quindi se vediamo — e il fenomeno

è storico — le genti scendere a valle alla ricerca di

una vita meno misera, di un lavoro più remunera­

tivo. più continuativo: alla ricerca ingomma di un

po' di conforto del quale, pur tra le illusioni, la

civiltà ci è stata ap|n>rtatrice.

Non è di oggi il pauroso esodo montano di cui al­

cuno ne esagera forse le conseguenze e che le stati­

stiche dei censimenti — causa le unità amministra­

tive assunte a base del calcolo — non avevano po­

tuto rilevare.

Fin dal 1857 e poco dopo il 1860 i circondari di

Aosta. dell'Ossola. della Val Sesia, di Pinerolo, di

Ivrea, davano il maggior contributo allo spopola­

mento delle valli. Nè sfuggivano al crescente esodo

i circondari di Novi. Tortona e Mondovi. Nel 1925

lo rilevava Oreste Bordiga. il quale'2' denunciava

l'aggravarsi del male nella intera zona montuosa

italiana.

Se nel 1881 la popolazione legale dei comuni

montani piemontesi al dis«»pra dei quattrocento-

seicento metri risultava di 391.814 abitanti, nel

1921 era discesa a 347.397 mentre la intera regione

che comprendeva queste zone montane vedeva au­

mentata la sua popolazione dell*ll%.

Nè s'interessano della situazione montana solo

gli economisti, i geografi, i sociologi; anche i ge­

nerali dànno l'allarme: primi fra essi Badoglio, se­

guito da Donato Etna ". denunciano le conseguenze

dello spopolamento suH'efficienza delle truppe al­

pine e sulla difesa delle frontiere.

E contemporaneamente la

Rivinta ilei Club Al­

pini» Italiano

s'interesserà dell'appassionante feno­

meno piemontese'**.

Per fermo il fenomeno non è peculiarmente pie­

montese, chè un po' dappertutto nelle zone mon­

tane italiane l'allarme trova conferma nei fatti. An­

che all'estero nelle Alpi orientali dopo l'avvento

vittorioso dell'industria tessile in fondo valle, nelle

Alpi centrali, nei Pirenei occidentali e centrali,

nel massiccio deH'Alvernia in Francia, si trovano

centri e casolari abbandonati, pascoli montani de­

serti: meno sentito è il fenomeno nelle montagne

germaniche e nella Cecoslovacchia, ove le tradi­

zionali industrie minerarie e forestali trattengono

le popolazioni, specialmente là ove furono meno

sensibili le dolorose conseguenze degli irrazionali

trattati di pace.

Per il Piemonte, quali le cause di sì preoccupante

fatto demografico? Le recenti diligentissime inchie­

ste già le misero in evidenza. « La montagna pie­

montese si spopola per il desiderio di una vita meno

dura, di non abitare nelle stalle mesi e mesi du­

rante l'inverno... ». scriveva Vincenzo Porri nel

1928,s’. Ma queste non eran altro che le conse­

guenze di generali condizioni via via aggravante».

Non si ferma la popolazione là ove il fisco distingue

sempre fra terra bagnata da fertile humus e terra

bruciata dal sole e dal riverberante calore del ter­

riccio pietroso ove il limite dei castagneti segna

pure. coU'invadenza dei pascoli ri»cciosi e de’le ste­

rili fascie calcariche. il limite di vita possibile al

pastore che scende lungo le ristrette valli a rete

idrografica cortissima, per portare al fondo il frutto

del magrissimo e sudatissimo lavoro, tratto dagli

scarsi patrimoni zootecnici, veri strumenti di la­

voro anziché segno di acquisita ricchezza.

Nè «i ferma la popolazione là ove scarse sono le

precipitazioni, là ove poco ospitali «ooo i caratteri