

lore, con subdoli inganni, con patenti slealtà
e con sterline e dollari mal guadagnati, feno-
meno questo che per altri è atavico costume.
Taluni, quasi per ischerno, ci chiamano
poeti ma a questo mondo sono poeti anche
coloro che non scrivono materialmente quei
versi (che del resto si fanno coi piedi), bensì
tutti quelli che comprendono ed ammirano il
bello ed il giusto ovunque si trovino. L'am
biente militare poi, con le sue molteplici va
rietà e con l'entusiasmo che suscita è quello
che meglio di qualunque altro ne offre ad
ogni istante l'occasione. Non vi è forse la
poesia dell’amore, dell'odio, del dolore, della
gioia, della speranza e sopratutto quella del
dovere che inspirò a Costantino Nigra quei
tipici versi: « Schiavi sol del dover, usi obbedir
tacendo e tacendo morir »?
Tutti in qualunque età ed in qualunque
condizione ed evento siamo dunque poeti nel
l'anima. Lo è il contadino che innalza i suoi
canti alla bellezza della natura ed alla fecon
dità dei suoi campi, lo è l'operaio che esalta il
valore della sua proficua attività e la santità
del sudato lavoro, lo è lo studioso dell’arte
che in ogni sua manifestazione scruta, e ripro
duce la bellezza e l'immensità del creato, lo è
la donna che col fascino della bellezza, con
10 spasimo deU'amore e con la dolcezza della
maternità, santifica la vita, lo è infine il sol
dato che fondendo mirabilmente le virtù i sen
timenti e gli affetti di tutti costoro dai quali
proviene ed ai quali vota la sua esistenza
scioglie con vena fresca e spontanea quegli
inni or gravi e solenni, or semplici ed ingenui,
or satirici ed ora salaci nei quali vibra l'anima
della patria che è quella di tutto il popolo.
In Italia la poesia militare è solita a tacere in
tempo di pace, ma al primo squillo di guerra
si risveglia e dilaga sia nelle file dell'esercito
sia nelle città, nei paesi, e nelle campagne
assumendo due caratteri distinti, l'uno pate
tico e sentimentale, l'altro umoristico e so
vente sarcastico, ma in tutti dominano le note
del patriottismo e dell'affetto. La produzione
popolaresca di questo tipo di poesia è abbon
dantissima, sì che sarebbe impossibile riassu
merla anche data la tirannia del tempo, per
cui mi limiterò a citare i famosi giornaletti di
trincea definiti da Barzini «
il rancio dello spi
rito
>e che tanto contribuirono a tenere aito
1 morale dei combattenti, ma anche del po
polo tra il quale erano diffusi. Nel primo nu
mero del giornale « La trincea » dedicato al
Sovrano, Gabriele d'Annunzio scrìveva: « Non
credo che abbia mai regnato al mondo un Re
più coftante e più fervido nella religione del
dovere ». « Non credo che mai Re abbia con
tanta pertinacia esercitato il suo dovere verso
il suo popolo, verso se stesso e verso i maggiori ».
Nel classico giornale <■La tradotta » si legge.
ad esempio, questa bellissima poesia intitolata
« Parla il soldato » e nella quale balza splen
dida la figura del Duca Emanuele Filiberto
d'Aosta e si chiude così:
Quando sarò un vecchiune rome il nonno
racconterò ai nepoti anch’io le favole
accanto al fuoco, pria ebe prendali sonno:
non le fiabe dei tempi delle avole,
ma le storie che noi viviamo adesso:
oh! delle fiabe più miracolose!
le sacre tombe all’ombra del cipresso,
gli assalti rudi e le trincee fangose:
« c’era una volta un Duca che una brava
■<invincibile Annata aveva composta
« e quell’Armata « terza » si chiamava
« ed il suo Duca si chiamava « Aosta ».
La satira militare ebbe giustamente a sfer
rarsi feroce ed accanita contro quella losca
figura che chiamasi l'imboscato tanto che i
soldati cantavano questo ritornello:
E se verrà la pace — lor poi saran gli eroi
che canteranno ai posteri — quel che abbiamo
[fatto noi.
Mentre il salace Trilussa esclamava:
È stato ar fronte sì. ma cor pensiero
però te dà le spiegazioni esatte
de le battaglie rbe non ha mai fatte
come se fosse stato per davvero.
Ed ora chiudo questa mia conversazione
esponendo lo stato d'animo di chi al pari di
me suo mal grado non può accorrere alle armi
ed inoltre il credo morale e politico ed i pen
sieri degli Italiani su taluni amici e nemici
della patria.
R IM PROVERO
Mentre tranquilla qui traggo la vita
riscaldandomi al fuoco del camino
od intorno alla tavola imbandita
o dormendo su morbido cuscino
io penso che d’ Italia un’infinita
«chiera combatte per un gran destino,
ove la morte con la gloria unita
percorrono l’identico cammino.
Così penso e ogni gioia
mi vira
meno:
sento il freddo, la (ame ed il sonno allora,
ed un sordo rimorso invan raffreno
che tormentando l’animo mi accora
e sogno con l’accesa fantasia
di dar la vita per la patria mia.
CREDERE • OBBED IRE • COMBATTERE
Io credo perchè l’uomo che non crede
è al par di pianta che non mette fiore,
roste Pocchio del cieco che non vede
od un’anima priva dell’amore.
Obbedisco perchè tutto procede
nel flusso della vita, dal valore
dell’obbedienia. quale salda fede
d’un palpito possente che non muore.
Io combatto perchè lotta è la vita
in ogni campo ed in tatti gli eventi
e ci pervade e suscita ed incita
10 «pihto ai più nobili ardimenti.
In «porti dogmi dell’umana istoria
1 gran segreto sta d’agni vittoria.
SS