

non ebbero tuttavia seguito ed il vasto spazio,
rimasto libero, riuscì utile in diverse occasioni per
la creazione di loggiati di ricevimento, padiglioni
prov\ isori, ecc.
La definitiva sistemazione della piazza, recen
temente compiuta, ne ha conservato le possibilità
di utilizzazione, alla quale si presta, non solo per
le dimensioni, ma pei il traffico relativamente
modesto che la interessa nonostante la località
centralissima. Forse una sistemazione a verde
avrebbe integrato assai meglio l’architettura un
po’ perduta, nonostante i massicci edifici del
Frizzi, nella vastità dello spazio, ma giustamente
non si è voluto rinunciare alla sua insostituibile
funzione di piazza d’uso pubblico.
La piazza si apre da un lato verso la nostra
stupenda collina: migliore architettura non poteva
essere creata per valorizzare la sua prospettiva
principale. Purtroppo il disordinato sviluppo delle
costruzioni fra la Gran Madre di Dio e la Villa
della Regina, ha determinato un complesso archi-
tettonico infelice, nel quale, all’infuori del Tempio,
manca palesemente ogni preoccupazione della
prospettiva principale determinata dalla piazza
Vittorio Emanuele.
Così una piazza felicemente studiata nella sua
impostazione pianimetrica e prospettica, creata
con un’architettura rispettabile anche se deca
dente, ha perduto parte del suo fascino.
Effetto della deprecata mancanza di un piano
preordinato, senza il quale l’iniziativa privata non
potrà mai risolvere i problemi estetici che esulano
dal caso particolare. La più lodevole delle archi
tetture, rimanendo isolata, si perde nel disordine
e nella banalità delle vicine fabbriche e non può
giovare apprezzabilmente all’estetica del quartiere.
Solo quando l’edilizia potrà essere riportata sul
piano della concezione totalitaria, o meglio urba
nistica, la città potrà riprendere il suo ordinato
sviluppo, per il quale non è certo sufficiente fissare
allineamenti e limiti di altezza.
Torino in questo campo ha già dato l’esempio:
a questo esempio deve ritornare.
* * *
La piazza G ran M ad re di D io , creata per
l’isolamento del tempio iniziato nel
1818
su pro
getto dell’architetto Bonsignore, dovrebbe costi
tuire il degno prolungamento della piazza Vittorio
Veneto verso la quale si apre.
Meschini criteri hanno purtroppo guidato l’opera
direuiva in un tentativo di dare alla piazza un
carattere degno della sua importanza. La costru
zione di nuovi isolati di architettura uniforme si
è limitata a due lati, mentre nel lato a notte regna
il più completo disordine, sia nel tracciato che
nell’architettura. Gli isolati costruiti secondo un
piano prestabilito sono essi stessi architettoni
camente insufficienti e costituiscono un mediocre
esempio di quelle forme, invalse verso la metà
del secolo scorso, espressione della reazionaria
decadenza succeduta allo splendente periodo ba
rocco.
La piazza Gran Madre di Dio, legata al ricordo
dei gloriosi Caduti, per il suo naturale sfondo di
collina e di cielo, per l’ampia prospettiva assiale
determinata dal ponte sul Po e dalla piazza Vit
torio Veneto, poteva invece rappresentare uno
degli elementi più interessanti dell’architettura
monumentale torinese. Vi è da sperare che il
problema della sua sistemazione definitiva possa
venire un giorno affrontato con quella larghezza
di vedute che mancò purtroppo completamente
all’atto della sua attuale impostazione architet
tonica.
* * *
Fra le piazze più recenti, nelle quali si accentua
la decadenza dei vecchi concetti di grandiosità e
di armonia architettonica, è di particolare interesse
la piazza San Martino.
Sorta in seguito alla costruzione della stazione
sulla ferrovia di Novara e dedicata a Pietro Micca,
la nuova piazza, poco dopo la metà dell’Ottocento,
venne collegata alla via S. Teresa con l'ampia via
Cemaia, mentre la demolizione della Cittadella
apriva nuove zone alla fabbricazione.
Per un complesso di circostanze la piazza,
iniziata nel suo lato nord e nord-est con disegno
uniforme, non ha potuto essere finora completata.
Da un lato la ferrovia di Milano e dall’altro l’area
estrema della Cittadella, destinata nel
1863
alla
costruzione della Dogana e dei Magazzini generali,
hanno impedito a questo spazio di assumere una
fisonomia definita nel suo lato principale fron-
teggiante la via Cemaia e nel suo lato a giorno.
Cosi essa appare oggi un esempio delle penose
conseguenze alle quali può giungere la man
canza di un piano preordinato, ancora più gravi
quando una pretesa uniformità simmetrica resta
incompiuta, abbandonando al disordine quanto
le circostanze non hanno consentito di com
pletare.
La misera architettura della stazione, le an
cora più modeste basse costruzioni che ne fian
cheggiano l’edificio, dietro alle quali appaiono
senza ordine i grandi edifici di reddito del Corso
Inghilterra (fìg.
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), il disgraziato cavalcavia, deter
minano Qna serie di problemi urgenti per il decoro
stesso della città.
La piazza ha d’altra parte raggiunto oggi una
grande importanza nell’assetto urbanistico tori
nese. Lo sviluppo grandioso verso ponente, l’impor
tante funzione assunta dalla via Cemaia. ancor
più valorizzata con l’apertura della via Pietro
Micca, il nuovo caranere della stazione di Porta
Susa, divenuta di importanza non minore della
stazione centrale per il traffico est, hanno già