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della consueta cartella a cartigli arrotolati e

a svolazzi, di una protome leonina e di due

mezze figure di amorini, che sostengono il

gran Collare dell*Annunziata (fìg. 1). Ma se

questo è già di per sè un indice del carattere

ufficiale, o almeno semi-ufficiale dell'opera,

quel che ci interessa è sopratutto la veduta

centrale. Nel fondo è ben delineata Torino,

chiusa ancora entro la sola cortina delle mura

romane ed il largo fossato adiacente; ma già

rinforzata ad occidente della munitissima Citta­

della e dei suoi moderni bastioni. Nella veduta,

per quanto piccola, si riconoscono facilmente i

più caratteristici e notevoli edifici della vec­

chia città: il Castello con le sue quattro torri;

la Porta Palatina; l'aguzza torre civica, le

maggiori chiese. Ma quello che ora importa,

non è di rilevare coteste particolarità ben

note; ma il fatto che nei terreni a mezzogiorno

della città, dove a grandi linee sono già trac­

ciati i rettangoli e sono sorte le prime case

dei dieci nuovi quartieri (

2

) che nel 1621

Carlo Emanuele I aveva deliberato sorges­

sero ad ampliamento della vecchia Torino

romana e medievale, si sta attivamente lavo­

rando da nugoli di operai alla costruzione

di una vera e propria cinta fortificata.

Di fatto, da quel fine politico e da quello

esperto soldato che egli era, il Duca Carlo

Emanuele I, nel momento stesso in cui deli­

berava l'ampliamento della capitale e ban­

diva agevolazioni ed esenzioni per chi avrebbe

eretto palazzi e case, aveva anche intrapresa

la costruzione della potente cinta fortificata,

che insieme e in relazione allo stesso amplia­

mento gli era stata studiata con particolare

impegno e amore per più anni dal valoroso

e bravo ingegnere militare Ercole Negro di

Sanfront (3). Oscuri erano i tempi; fortis­

simi, prepotenti e sopratutto ostili i poten­

tati contermini; difficili a difendere i confini

e per di più vicinissimi al cuore dello Stato:

era ben necessario perciò che Torino, la capi­

tale del ducato, fosse tutta un formidabile

bastione organicamente saldato e fuso in un

appropriato sistema con la sua modernis­

sima Cittadella. Una lettera dell

'8

maggio

1609 scritta dal Sanfront al conte Michele

Antonio della Manta (4) non solo ci dice che

risale a cotesto anno la determinazione del

Duca di ingrandire Torino e la sua cinta for­

tificala; ma ci rivela che fin da allora l’inge­

gnere aveva sottoposto al Sovrano tre pro­

getti con le relative piante: «

Luna quella

tonda che à del ouatto

,

laltra che ua in fino

aWabergo che gli resta dentro

,

laltra marcatta

de ponti che ua in fino al Po

,

et quella che

gionge al Po è quella che uol piantar S. A

.,

il

mio è la ouatta

». Un programma massimo

dunque, che aveva tutte le simpatie ed acca­

rezzava le ambizioni del grande Duca; uno

minimo, a cui con più aderenza forse alle

possibilità dello Stato Sabaudo, si attaccava

il pratico architetto. I burrascosi e dramma­

tici eventi che distinsero il successivo decennio,

fecero rimandare a migliori tempi l'esecuzione

del progetto; certo è però che nel 1618 il

Sanfront lo aveva ripreso, se il 18 novembre

scriveva a Francesco Renato della Manta:

«

Sono già doi mesi che mi ritrovo qua in

Torino... et in letto con la gotta con l'ettà di Anni

settantasette, et spero nel

Sig.re

che presto mi

ritroverò in sanita et finirò di fa r la pianta

cominciata

delTagrandim.to

della Città di Torino

che sarà

belli.ma

et giongera sin al po

,

et dalla

parte delli montruchi et dal ualentino

». E di

fatto nel 1621, come già si è detto, Carlo

Emanuele 1 faceva delineare a mezzogiorno

della città i primi dieci quartieri da fondare

e dava anche inizio, in quel settore, alle

nuove fortificazioni. Àncora una volta però

avverse complicazioni politiche e duri eventi

guerreschi rallentarono il ritmo delle costru­

zioni civili, e costrinsero a sospendere senza

altro i lavori delle mura della città.

Ma era questa un'opera di tanta impor*

tanza e di così essenziale necessità che Vit­

torio Amedeo I, succeduto al padre nel luglio

1630, la riprese immediatamente e le diede

pronta esecuzione. Ci si attenne naturalmente

al disegno che con tanto studio ne aveva

preparato il Negro di Sanfront; ma ci si limitò

per intanto al programma minimo, e quindi

proprio forse a quella pianta «

tonda che à

del ouatto

», che, senza pregiudicare una inte­

grale ed .organica sistemazione futura, prov­

vedeva intanto ad assicurare la difesa dei

dieci nuovi quartieri della capitale, e a rin­

forzare, almeno da quel lato, i baluardi della

Cittadella. Secondo il piano del Sanfront, a

cui pare che abbia apportato solo leggere

modifiche Cario Castellamonte, la linea si

staccava dalla Cittadella poco a sud del

bastione dell'infanta o di Madama, e con