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e nel tempo, colle danze nel tempio egiziano,

flauti eterei che frusciano ed ondeggiano.

L'Oriente non imitato ma ricreato, insieme

ad alcunché di ieratico...

Volete il mondo medioevale? È il mondo

cavalleresco del «

Trovatore

», fra manieri tur­

riti, fra serenate che dall'arpa quasi ci ricon­

ducono al liuto, alla mandola. E non meno

fantastico é il mondo delle streghe: reale,

nell'opera stessa con Azucena, una delle più

belle figure verdiane, o sognante come nelle

paurose danze del «

Machbeth

», o nel terzo

atto di

» Un ballo in maschera

», pervaso dal

mistero nella notte incantata, quando Amelia

vaga nella foresta in cerca dell’erba magica...

Virtù di genio questa, davvero. Che non

si arresta nemmeno sulle soglie della morte

della quale anzi egli sa darci il presentimento,

con Violetta consunta dalla tisi e dall'amore

e con Desdemona. smarrita e piangente, pre­

saga della fine.

Penetrazione degli affetti più riposti, anche

nel quadro più complesso come nel quartetto

del «

Rigoletto

, ove Gilda e Maddalena, Rigo­

letto e U Duca, esprimono ciascuno il proprio

stato d'animo — la gelosia, l'odio, l'amore

e la frivolezza — in una meravigliosa sintesi

che stupiva Victor Hugo quando ebbe a

risentire il suo dramma nella veste musicale

verdiana.

Nè minori, per queste virtù analitiche e

sintetiche, sono i concertati delle altre opere:

«

Un ballo in maschera

», la «

Forza del De­

stino

», «

Don Carlos

», «<

Aida

», «

Otello

»...

Miracoli di euritmia e di varietà nella diver­

sità.

Questa stessa latitudine di pensiero, questa

sensibilità risonante di tutte le sensazioni,

questo senso diremo pratico, e drammatico

della vita, lo ritroviamo anche al di là del­

l'opera di teatro: nella

Messa di Requiem

scritta per la morte di Alessandro Manzoni,

il dramma della Passione Cristiana, dolore e

aspirazione trascendente, intensamente vis­

suti e sentiti e plasmati dalle voci soliste e

da quel coro pel quale Verdi ebbe tanta predi-

lezione e che esprime davvero l'imponente

voce multanime dell'intera umanità.

A questo clima appartengono i pezzi sacri

ed il

Te Deum.

Un posto a sè occupa il

Quar­

tetto.

solidalmente costruito, cantabile e pur

polifonico nell'elaborata veste contrappun­

tistica.

Le

liriche

costituiscono altrettanti qua­

dretti di adamantino lirismo, di plastica evi­

denza.

Quante furono le opere di Verdi? Non

occorre contarle. Esse son vive nella memoria

d'ognuno. Tutti ne ricordiamo qualche melo­

dia; quelle melodie che rimangono sospese

nell'aria, sollecite a risonare intensamente al

primo richiamo.

Ma l'opera sua più bella dicesi abbia detto

Verdi (Verdi sommo, generoso e pur modesto)

essere quella che negli ultimi anni della sua

vita gloriosa dedicava alla « Casa di Riposo »

per i musicisti ed i cantanti poveri. Atto di

cordiale solidarietà umana verso l'artista che

dopo aver profuso il suo ingegno, o sia pure la

sua voce soltanto, fra la folla plaudente,

cade d'un tratto nell'oblio e sovente in mise­

ria. E fu pur la casa del suo eterno riposo,

chè colà egli volle esser sepolto, e così —

anche oltre la vita — restar coi compagni

d'arte.

Umano anche

post mortem.

Giuseppe Verdi.

Egli del resto, accettò la fine senza un lamento,

combattendo ancora con le forze fisiche in

lunga agonia per spegnersi alle ore 2,50 della

notte del 27 gennaio del 1901. Ma lo spirito

vi era già preparato. Poco prima del transito

scriveva: «

riguardo alla salute

,

per quanto

i medici mi dicano che non sono ammalato

,

sento che tutto mi affatica; non posso più

leggere

,

-più scrivere, vedo poco

,

sento meno,

e sopratutto le gambe più non mi reggono,

non vivo

,

vegeto, che a sto p iù a jare a questo

mondo?

......

U dramma dell'artista, del creatore, s'era

già

compiuto col

«

Falstaff

»,

in un lungo pro­

cesso di decantazione attraverso il

s'eran bruciate le scorie, lasciando nel

del crogiolo il metallo immacolato e